A Venezia 81 Angelina Jolie diventa l’ultima Callas

A Venezia 81 Angelina Jolie diventa l’ultima Callas

9 Settembre 2024

di Maddalena Libertini

Pablo Larrain porta sullo schermo Maria Callas negli ultimi giorni della sua vita. A 100 anni dalla nascita, celebrata l’anno scorso dalla mostra alle Gallerie d’Italia, la storia della diva continua a emozionare.

Nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo è conservata una foto del 1964 in cui Maria Callas cammina in una via di Milano. Sullo sfondo si riconosce il lato del duomo. Maria, che indossa cappotto e cappello di pelliccia, è colta dal fotografo in un momento di vita quotidiana, probabilmente nel giro delle commissioni: accanto a lei c’è la fidata governante e segretaria Bruna Lupoli, una donna minuta vestita più semplicemente, che sta consultando un foglietto, forse la lista delle cose da fare o l’elenco degli appuntamenti. Dietro di loro si intravede un giovane uomo che si volta in direzione della cantante, evidentemente chiedendosi se è proprio la diva a essergli appena passata accanto.

Nella foto Maria sta accennando un sorriso mentre ascolta Bruna sciorinare la lista. In questo momento della sua vita, la sua carriera musicale sta attraversando una fase discendente, la voce ha dato segni di cedimento e anche il fisico sopporta a fatica lo stress di lunghe e ripetute esibizioni. La sua storia d’amore con Onassis è ancora in corso e lei sta riducendo drasticamente le sue presenze in teatro a favore della vita mondana al suo fianco. Nel 1968 lui sposerà Jackie Kennedy, troncando brutalmente la loro relazione.

Nel film Maria di Pablo Larrain, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Bruna Lupoli e Ferruccio Mezzadri, autista e maggiordomo che segue la Callas fin dal 1958, sono le uniche presenze umane reali che lei tollera intorno a sé. Per il resto preferisce circondarsi e dialogare con le sue visioni e i suoi fantasmi. Sono passati 13 anni dalla foto, lei ha 53 anni e la scena si è spostata a Parigi. Il regista cileno ha scelto di concludere la sua trilogia dedicata a ritratti di personaggi femminili colti in un momento critico della propria vicenda esistenziale (gli altri due sono Jackie e Spencer) raccontando l’ultima settimana di vita della diva, ormai ritiratasi in un autoisolamento nel suo lussuoso appartamento a pochi passi dal Trocadero.

È quindi una Callas fiaccata dalle delusioni amorose, tradita dalla voce, debilitata nel corpo e fragile nei nervi quella che Angelina Jolie incarna sotto lo sguardo preoccupato di Bruna e Ferruccio, rispettivamente Alba Rohrwacher e Francesco Favino, che la vedono consumarsi pericolosamente. Resta intatta la sua regalità, conquistata a prezzo di enormi sacrifici. L’abuso di farmaci, che si procura illegalmente, le provocano allucinazioni a cui lei si abbandona perché la mettono in contatto con il suo passato e le rendono accettabile il suo presente. Così il sonnifero Mantrax assume le sembianze di un giovane giornalista venuto a intervistarla che la accompagna nel suo viaggio nei ricordi e mentre fa gli ultimi tentativi di recuperare la perfezione dell’esecuzione canora. Riappaiono dalla memoria, in ordine sparso, le serate trionfanti nei teatri, le interpretazioni più significative, episodi della giovinezza in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale e soprattutto l’incontro e il travolgente rapporto con Onassis. Lo sceneggiatore Steven Kinght, autore anche degli altri due biopic e della fortunata serie Peaky Blinders, inserisce nello script la festa di compleanno di JFK nel 1962, quella in cui Marilyn Monroe canta “Happy Birthday”, a cui fa seguire, in una sorta di profetico crossover, un incontro privato il giorno dopo tra la Callas e il presidente in cui lei preconizza la storia tra Aristotele e Jackie.

Maria Callas è una eroina drammatica, lo è stata magistralmente nei ruoli dell’opera lirica sulla scena, soprattutto per la capacità recitativa oltre che per l’interpretazione vocale, lo è stata altrettanto nella biografia personale, ma l’intenzione del film è quella di elevarla dal melodramma alla statura della tragedia classica, di quella Grecia che portava nel DNA. Alla fine della sua vita, stroncata da un infarto che mise a tacere le voci del suicidio, Maria abbraccia il suo destino e in questa accettazione, in qualche modo, lo determina come un atto di libertà. L’epilogo è stabilito ma non subito passivamente da vittima. Almeno questo sembrano voler dire Larrain e Knight.

I quasi dieci minuti di applausi che sono stati tributati al regista e al cast alla fine della proiezione a Venezia vanno attribuiti in parte al pathos e all’empatia che la figura e l’avventura umana della Callas continuano ancora a suscitare.

Come ha ricordato la mostra “Maria Callas. Ritratti dall’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo”, organizzata alle Gallerie d’Italia di Milano alla fine dell’anno scorso nell’ambito delle celebrazioni del centenario dalla sua nascita, è stata la prima cantante lirica a ricevere una grandissima esposizione mediatica. Le 91 foto esposte in mostra, ancora consultabili nell’Archivio Publifoto, coprivano gli anni dal 1954 al 1970 e testimoniavano come i fotografi la seguissero ovunque fuori dalle scene, scattando istantanee da consegnare al pubblico curioso dei dettagli privati della star. Anni in cui i riflettori non si spegnevano mai rendendo difficile nascondere le fragilità della donna dietro l’icona leggendaria. Larrain la ritrova dopo, quando quelle luci si sono affievolite, quando lo straordinario sta cedendo il passo all’ordinario e lei è sola nella sua casa-prigione di Parigi.

Durante la conferenza stampa del Festival Pierfrancesco Favino ha detto: “Artisti del suo livello sono in grado di riflettere le nostre emozioni. Quando ascoltiamo la Callas, ascoltiamo le nostre emozioni. Ci sono pochissimi artisti al mondo in grado di fare una cosa del genere e sono estremamente soli perché nessuno capisce il sacrificio e lo sforzo che fanno per raggiungere quel livello. Il dono che ci viene concesso è di sentire noi stessi e quello che proviamo grazie a loro. Dovremmo, soprattutto in questo momento, parlare di più di questi artisti ed è uno dei motivi per cui credo che questo film sia importante”.

Credits delle immagini: Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo

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