Il 5 ottobre presso Palazzo Vallelonga, sede della Banca di Credito Popolare a Torre del Greco, si ricostruirà il mistero della corona di Carlo III di Borbone, tra trame di corte, ambizioni politiche e dinastiche e arte orafa.
Il 21 dicembre 1798 Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli conosciuto anche come il Re Nasone, e la consorte Maria Carolina Asburgo-Lorena furono costretti ad abbandonare precipitosamente la città, incalzati dall’avanzare delle truppe francesi, e a riparare in Sicilia. A portarli a Palermo furono le navi degli alleati inglesi, comandate dall’ammiraglio Horatio Nelson. Cominciò così la brevissima avventura della Repubblica Napoletana: non appena i francesi si allontanarono, il cardinale Fabrizio Ruffo, Comandante generale del Re, riconquistò la città e già nel giugno 1799 Ferdinando poté rientrare a Napoli, dando il via a una sanguinosa persecuzione dei suoi avversari.
Nella rovinosa fuga, i sovrani avevano imbarcato sulla flotta inglese una grande quantità di beni preziosi. Al loro ritorno si erano perse le tracce del pezzo più importante: la corona di Carlo III, padre del re, gioiello di straordinario valore e considerata dai contemporanei la più bella d’Europa. Assai strano è che la perdita di un oggetto così notevole sia passata sotto silenzio, come se si cercasse di farne perdere la memoria.
Quest’anno, dopo più di due secoli, questo giallo storico è tornato all’attenzione della cronaca. Il prossimo giovedì 5 ottobre la corona sarà esposta a Palazzo Vallelonga a Torre del Greco. Il caso è dunque risolto? La corona è stata ritrovata?
La risposta è negativa ma la storia che verrà approfondita nell’incontro organizzato dal Rotary Club Comuni Vesuviani in collaborazione con la Banca di Credito Popolare non è per questo meno interessante: l’esemplare esposto è una fedele riproduzione, frutto di un accuratissimo lavoro di indagine storica condotto dal gemmologo investigativo Ciro Paolillo a partire da un disegno conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli.
All’incontro “L’enigma della Corona di Carlo III” (presso l’auditorium di Palazzo Vallelonga, h. 18,30) saranno presenti anche le altre protagoniste di questo recupero: Candida Carrino, direttrice dell’Archivio di Stato, e Annamaria Barbato Ricci, giornalista, che insieme a Paolillo, Luigi Torrese, presidente del Rotary Club Comuni Vesuviani, e Mauro Ascione, presidente della banca, ripercorreranno questa appassionante vicenda storica e spiegheranno come è stata possibile una così precisa ricostruzione. La corona era, in effetti, un oggetto famoso per l’alta qualità manufatturiera, la quantità di diamanti (oltre 300 di varie dimensioni) e una peculiarità che la rendeva unica e inestimabile. Voluta da Elisabetta Farnese, ultima principessa dei Farnese di Parma e Piacenza e regina di Spagna, la corona servì a incoronare re di Sicilia suo figlio Carlo di Borbone il 3 luglio 1735 nella cattedrale di Palermo. L’aveva realizzata il gioielliere e cesellatore avignonese Claudio Imbert che sulla struttura dorata, oltre ai 300 diamanti bianchi dai dieci al mezzo carato, aveva montato anche una pietra unica, il diamante Farnese, di 42 carati e un rarissimo colore viola, forse enfatizzato dall’artigiano con lo stratagemma di colorare il castone. Servì anche l’abilità degli orafi fiorentini per il taglio dei diamanti bianchi, mentre il “Gran Farnese” fu lavorato a Venezia dove arrivò dai giacimenti indiani di Golconda. Elisabetta commissionò la corona già nel 1732, convinta che sarebbe riuscita a intessere le condizioni politiche per dare al suo terzogenito un regno, come effettivamente le riuscì tre anni dopo. Carlo, monarca illuminato, promotore di politiche riformiste, nel 1759 divenne poi inaspettatamente re di Spagna lasciando al figlio Ferdinando il trono delle Due Sicilie e la famosa corona.
Il ritrovamento di un foglio con il disegno originale e la descrizione pietra per pietra del gioiello nel Fondo di Casa Reale dell’Archivio di Stato di Napoli ha dato l’avvio al progetto di replica in argento dorato, con “cubik zirconia” e un’ametista quadrata, realizzato con il supporto di orafi e di un software per la modellazione.
Ma che fine ha fatto la vera corona? Su questo aspetto della vicenda le ipotesi sono ancora numerose. Si pensava che durante la traversata verso la Sicilia una delle navi inglese fosse affondata con il tesoro reale, mancano però prove documentarie di questo evento. La corona potrebbe essere stata smontata per pagare le spese reali, finanziare la spedizione del cardinale Ruffo o per ricompensare Nelson del salvataggio. Un documento del 1801 in cui Nelson dichiara la vendita di diamanti per un valore di 3000 sterline per saldare un debito di gioco sembrerebbe andare in questa direzione. Non è detto che questo sia stato anche il destino del “Viola Farnese”, forse conservato da Ferdinando e donato alla moglie morganatica Lucia Migliaccio.
(Foto Matteo D’Eletto)