La via al digitale di musei e teatri italiani

La via al digitale di musei e teatri italiani

20 Giugno 2024

ll 20% delle istituzioni culturali italiane sta testando l’IA per automatizzare e velocizzare operazioni semplici ma presto si diffonderanno applicazioni per rendere più coinvolgente e inclusiva la user experience.

Il 2023 è stato per le istituzioni culturali un anno fenomenale che ha spazzato via l’inflessione provocata dalla pandemia: lo dicono i numeri raccolti dall’Osservatorio Innovazione Digitale per la Cultura del Politecnico di Milano che, rispetto al 2019, registrano +16% di presenze nei musei e + 6% nei teatri. Sul primo dato pesa il ritorno in massa dei turisti internazionali dopo i due anni condizionati dalla crisi sanitaria.

Risultati che incoraggiano a immaginare un trend positivo destinato a proseguire ma anche a continuare a investire in innovazione e aggiornamento dei luoghi della cultura. Una delle lezioni del blocco imposto all’improvviso dal Covid-2019 è stata proprio la spinta a dare il via o ad accelerare, per chi era già partito, la revisione in chiave digitale di molti aspetti della vita delle istituzioni della cultura, dalla comunicazione al marketing, dal customer care alla presenza online, dai processi gestionali interni alla vendita di biglietti. A questo va aggiunta circa un anno e mezzo fa l’esplosione dell’Intelligenza Artificiale, le cui promesse di semplificazione delle attività, potenziamento dell’operatività e creazione di nuovi servizi e contenuti si stanno già trasformando in esperimenti concreti sul campo.

Gli investimenti digitali della cultura

In base alle emergenze della Ricerca 2023 dell’Osservatorio la trasformazione digitale è sentita dalle istituzioni culturali italiane come un volano di innovazione e una priorità nell’agenda degli investimenti. Il 43% dei teatri che ha risposto all’indagine del PoliMi ha dichiarato di continuare a investire in innovazione digitale e, con il ritorno alla partecipazione dal vivo, di aver convogliato le risorse prioritariamente verso i servizi di biglietteria, gestione delle prenotazioni, controllo degli accessi.

Sale la percentuale, arrivando al 54%, per musei, aree archeologiche e altri monumenti. In questo caso le allocazioni sono concentrate sui servizi di supporto alla visita, dalle audioguide fruibili sul proprio smartphone attivate tramite QR code, alla realtà aumentata e alla tecnologia Beacon per rendere l’esperienza di fruizione più interattiva e immersiva. Registrano una battuta di arresto, invece, i progetti relativi a metaverso, blockchain e NFT. 

Un fronte sempre più importante è poi quello della catalogazione e digitalizzazione della collezione anche grazie ai fondi pubblici del PNRR: il 74% delle istituzioni ha digitalizzato almeno una parte del proprio patrimonio di opere. A questo dato certamente positivo non corrisponde però una equivalente chiarezza degli obiettivi: “Il 68% di chi ha attivato questo processo non ha una strategia formalizzata per la digitalizzazione della collezione. Quando abbiamo chiesto – chiarisce Eleonora Lorenzini, Direttrice dell’Osservatorio – se la digitalizzazione sia fatta in alta definizione per fini di ricerca o di studio, legati per esempio al restauro, piuttosto che in bassa definizione per uno scopo di divulgazione anche al pubblico generico, abbiamo trovato vaghezza e indecisione. Un altro elemento poco rassicurante è che il 65% dei musei non pensa alla metadatazione, che è fondamentale per rendere fruibile il patrimonio digitalizzato: digitalizzare senza metadatare equivale a non portare a compimento il processo. È bene conservare il patrimonio anche in formato digitale però è importante capire per chi e come farlo in modo efficiente ed efficace”.

Conoscere il proprio pubblico

Un altro aspetto critico è che quasi la metà dei musei italiani non sa da chi è frequentato. I dati e il loro uso strategico sono ampiamente riconosciuti in tutti i settori come uno dei principali valori della trasformazione digitale e il comparto culturale non fa eccezione. Tuttavia, il 22% dei musei e dei siti artistico-culturali non raccoglie nessun tipo di dato dai propri pubblici, mentre il 26% li raccoglie ma non li usa. C’è poi il gruppo più consistente (44%) che li analizza ma con strumenti e competenze ancora poco evoluti e solo il restante 8%, più maturo, ha inserito all’interno dell’organizzazione persone in grado di valorizzare i dati con strumenti di business intelligence o di CRM per prendere decisioni sulla strategia o altre azioni operative. Tra gli enti che hanno condotto un’analisi quantitativa e qualitativa dei propri pubblici dimostrandone i benefici ci sono il Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e il Teatro La Fenice di Venezia. Il Rossetti è stato il primo teatro pubblico italiano a incrociare tramite un software le informazioni di differenti database di biglietteria e dei contatti della newsletter ricavandone uno studio dei propri numeri: quanti spettatori diversi entrano nel teatro, quanti assistono a un solo spettacolo nel corso di una stagione, quale fascia d’età è più interessata a un determinato spettacolo del cartellone. Questa lettura ha contribuito a orientare la programmazione artistica favorendo l’inclusione del pubblico e la crescita degli spettatori quasi del 100%. È stata un’indagine sugli under 35 che ha aiutato la Fenice di Venezia a rimuovere gli ostacoli che allontanavano questa fascia generazionale dal teatro. Da qui è nato un progetto sostenibile e inclusivo di una replica riservata al pubblico tra i 18 e i 35 anni a prezzo ridotto e accompagnata da attività di condivisione pre e post concerto, i cui biglietti vanno esauriti in circa due ore.

Intelligenza artificiale e altri trend di innovazione

È ancora bassa la penetrazione dell’Intelligenza Artificiale nel comparto culturale italiano nonostante l’imponente crescita che questa tecnologia sta marcando nel nostro Paese (+52% rispetto al 2022 per un valore complessivo del mercato 760 milioni di euro). L’80% dei musei e il 68% dei teatri che hanno compilato la survey hanno dichiarato di non utilizzare alcuna soluzione di intelligenza artificiale. Approfondendo le risposte di chi invece le sta adottando, gli usi sono diversi ma al momento si concentrano nell’automazione di attività a bassa complessità: efficientare operazioni di trascrizione, creare testi e immagini per la newsletter e i post social, rispondere alle recensioni. Solo in pochi le stanno sperimentando per analizzare ed elaborare dati (4%), fornire informazioni ai visitatori tramite chatbot (3%) o gestire l’archivio (3%).

Quello che, in generale, emerge è che l’IA può diventare un facilitatore di inclusione e accessibilità culturale. Un caso tipico è l’impiego di tool di traduzione testuale in tempo reale in lingue diverse, tra cui la LIS (Lingua Internazionale dei Segni), abbattendo quindi le barriere che impediscono l’accesso a un contenuto.

Altri esempi di utilizzo arrivano dalle esperienze internazionali. Lo statunitense Harvard Art Museum ha chiesto a un software di intelligenza artificiale di descrivere quasi 400mila immagini delle opere della propria collezione. Le descrizioni prodotte dall’algoritmo simulano il comportamento del visitatore medio e sono esenti dai bias cognitivi delle competenze di un curatore professionista o di uno storico dell’arte. In questo modo sono stati generati 53 milioni di tag che rendono più facile la navigazione e la ricerca nell’archivio anche agli utenti non esperti. Sempre per favorire una fruizione digitale user-friendly il Museo Nazionale della Norvegia si è affidato a un tool di IA per classificare e creare raggruppamenti di opere simili tra loro per motivo, tecnica, composizione, uso del colore. Sulla base di questa suddivisione sono stati creati nuovi percorsi curatoriali di navigazione online della collezione. Il Rijksmuseum di Amsterdam ha invece applicato l’intelligenza artificiale per la ricostruzione e il restauro del suo capolavoro più famoso: la Ronda di Notte di Rembrandt. Le porzioni del dipinto mancanti o danneggiate sono state ricostituite dall’IA istruita sulla tecnica e sullo stile del maestro fiammingo.

“Dai dati forniti dai nostri colleghi dell’Osservatorio Artificial Intelligence del PoliMi – ricorda Deborah Agostino, Direttrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale per la Cultura – sappiamo che il 19% delle piccole e medie imprese italiane ha dichiarato di aver già utilizzato strumenti di intelligenza artificiale. Lo voglio sottolineare perché ci dice che l’IA tocca qualunque organizzazione e che tool diversi potranno trovare applicazione non solo in grandi entità ma anche in realtà più piccole”.

 

 

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