Lo straniero più famoso di Francia

Lo straniero più famoso di Francia

BPER Banca

8 Gennaio 2025

di Maddalena Libertini

La mostra a Palazzo Reale a Milano riesamina la traiettoria artistica di Picasso alla luce di una vita trascorsa in una nazione che non lo ha a lungo voluto riconoscere come cittadino regolare.

Poco più di mezzo secolo fa, l’otto aprile 1973 si spegneva a Mougins, in Provenza, Pablo Picasso nato quasi 92 anni prima a Malaga. Fu sepolto in Francia, eppure per quel paese in cui aveva vissuto per circa settant’anni – e nel quale nel 1985 venne inaugurato a Parigi il Musée National Picasso – era rimasto ufficialmente uno straniero. Sebbene l’artista fosse stato consacrato e venerato già in vita come il più grande genio del Novecento, la sua condizione di immigrato non venne di fatto mai revocata. Ancora nel 1940, nonostante la grande notorietà raggiunta, gli fu rifiutata la naturalizzazione francese e, tuttavia, egli rimase a Parigi anche durante l’occupazione tedesca proprio grazie alla protezione della sua fama.

La mostra Picasso lo straniero, ospitata al Palazzo Reale di Milano fino al 2 febbraio 2025, prende le mosse da questo paradosso: come sia potuto accadere che l’artista al quale sono stati tributati i massimi onori, che ha opere nei principali musei del mondo e che tuttora richiama il pubblico ogni qualvolta ci sia un evento o un libro a lui dedicato abbia vissuto in uno stato di incertezza rispetto al riconoscimento del proprio stato civile come un qualsiasi “indesiderato”.

A curare l’esposizione, insieme a Cécile Debray, non a caso è Annie Cohen-Solal, autrice del libro Picasso. Una vita da straniero (Marsilio, 2024) con il quale ha indagato proprio questo aspetto della biografia dell’artista.

Lo straniero 74.664

Molti tratti della personalità di Picasso sono stati ampiamente illustrati: l’inventore rivoluzionario del Cubismo, l’ingegno parossisticamente prolifico e poliedrico, capace di spaziare tra le diverse produzioni artistiche, l’energia rinnovatrice pronta a esplorare nuovi stili e linguaggi, l’impegno politico, l’interesse per l’arte cosiddetta “primitiva” sfociato nel collezionismo, la brillante gestione del proprio mito, la personalità esuberante al centro delle cerchie di amicizie, e persino l’ego narcisistico e divoratore delle sue compagne.

La mostra meneghina introduce un nuovo volto di questo titanico personaggio: lo straniero classificato con il fascicolo n. 74.664 dalla prefettura parigina nel 1901. È il giovane ambizioso Pablo Ruiz Picasso giunto, diciannovenne e ancora con il doppio cognome secondo la norma spagnola che poi abbandonerà, con l’amico Carles Casagemas nella capitale francese nel 1900 forte di un quadro esposto nel padiglione iberico all’Esposizione Universale e voglioso di conquistare la città. Ad accoglierlo è la comunità degli espatriati catalani con i cui ritratti i visitatori della mostra fanno conoscenza in apertura del percorso espositivo: Pere Romeu, animatore del cabaret Le Chat Noir e poi fondatore de Els Quatre Gats; i pittori Ramon Casas, Hermenegildo Anglada Camarasa, Ramón Pichot; il mercante d’arte Pere Manach; lo scrittore Frederic Pujulà. La rete dei compatrioti è fondamentale per ambientarsi in una metropoli di cui non parla nemmeno la lingua. Ritornerà una seconda volta l’anno seguente per esporre alla galleria di Ambroise Vollard e, sebbene il suo nome cominci a circolare nell’ambiente artistico, è in quel momento che viene schedato dalla polizia come anarchico e sottoposto a sorveglianza speciale. Neanche questo lo ferma e nel 1904, lui, nato andaluso, cresciuto galiziano e poi catalano, riesce finalmente a stabilirsi nella Ville Lumière dove rimarrà circa mezzo secolo. La collina di Montmartre è la zona in cui va ad abitare, non la meta di attrazione turistica odierna ma il quartiere periferico in cui venivano concentrati in fabbricati fatiscenti e alloggi precari gli irregolari, i marginali, gli immigrati che, radunati in una sorta di ghetto, potevano essere più facilmente controllati dalle forze dell’ordine. È il momento in cui incontra due nuovi amici, i poeti e scrittori Max Jacob e Guillame Apollinaire, lui sì apolide e che nel 1911 verrà arrestato perché sospettato di essere l’autore del famoso furto della Gioconda al Louvre.

Il genio fragile e senza patria

Nel 1906 Picasso sente il bisogno di prendersi una pausa dalla metropoli e si ritira in isolamento volontario con la compagna e modella Fernande Olivier nel paesino di Gosol sui Pirenei. Nell’estate che trascorre in questo villaggio di contrabbandieri transfrontalieri incastonato tra le montagne, grazie alla scoperta della scultura arcaica catalana affina il suo segno virandolo verso quella che diventerà di lì a poco l’avanguardia cubista. Dal ritorno a Parigi in poi la carriera di Picasso è un cursus honorum in costante trionfante ascesa che è possibile ripercorrere nelle sale dell’esposizione, ma di tanto in tanto riappare il fantasma di quel giovane spagnolo nel suo stato di vulnerabilità di fronte alla legge alimentato da pregiudizi, diffidenza e segnalazioni malevole. Ricade indirettamente su di lui, per esempio, l’ondata di nazionalismo antigermanico che emerge all’inizio del primo conflitto mondiale e si traduce nella confisca di 700 sue opere detenute dal mercante di origine tedesca Daniel-Henri Kahnweiler che dalla sua galleria parigina aveva contribuito a spargere la dottrina cubista nel mondo. Al di fuori della rete di amici artisti, intellettuali e collezionisti di cui continuerà a circondarsi in mancanza di altra protezione, la Francia non riconosce il suo talento e Picasso decide di accentuare la dimensione internazionale del proprio lavoro, collaborando con Diaghilev per le scene e i costumi dei Ballets Russes tra cui Parade, andato in scena a Roma nella primavera 1917. E se i musei francesi non sono interessati a possedere i suoi quadri, la sua opera simbolo, Les Demoiselles d’Avignon, nel 1939 prenderà la strada degli Stati Uniti diventando uno dei pezzi di punta del MoMA di New York. Neanche quando è ricco, famoso e celebrato dalla cerchia dei surrealisti come un padre putativo, può sottrarsi all’obbligo di rinnovare ogni due/tre anni il permesso di soggiorno e sulla carta d’identità per stranieri è costretto ad apporre le proprie impronte digitali. Nel 1940, in piena guerra, non si sente al sicuro, per i nazisti è un artista degenerato e ha preso posizione contro i franchisti spagnoli con un quadro manifesto come Guernica. Inoltra con speranza la richiesta di naturalizzazione francese al Ministero della Giustizia, fiducioso del nulla osta ricevuto dal commissariato di polizia e dell’appoggio di alcune personalità pubbliche. Riceve invece un mese dopo un drastico rifiuto: dai documenti ritrovati da Cohen-Solal sappiamo che a scrivere nel rapporto che Picasso “non ha alcun titolo per ottenere la naturalizzazione” fu un oscuro funzionario della prefettura xenofobo, sostenitore di Pétain e pittore dilettante. Questo smacco è un punto di non ritorno. Nell’ottobre 1944 si iscrive al Partito Comunista francese: l’adesione segna la ricerca di un senso di appartenenza nella militanza politica ma è anche un modo per rendere noto e ufficializzare lo status di forestiero in cui si trova da quattro decenni. Quando nel 1948 viene dichiarato residente privilegiato del prefetto di Parigi, è ormai tardi. Picasso abbandona progressivamente la città e nel 1955 si trasferisce definitivamente nel sud della Francia, tra la Costa Azzurra e la Provenza. In questa ultima fase della sua vita, sempre estremamente produttiva, è lui a rifiutare la cittadinanza francese che nel 1958 Charles De Gaulle vuole offrirgli: tra la villa La Californie di Cannes, il casale a Mougins e il castello di Vauvernagues ha istituito un regno personale che non ha bisogno di riconoscimenti burocratici e che non si fa richiudere tra i confini dell’ufficializzazione di una nazionalità.

In mostra

Seguendo l’ordine cronologico dal 1900 al 1973, nelle sale di Palazzo Reale la vicenda biografica fa da contrappunto alla narrazione artistica composta da più di 90 opere, il cui nucleo principale proviene dal Musée National Picasso-Paris (MNPP), presieduto da Debray. Quaranta tra dipinti, disegni, sculture, ceramiche sono esposti per la prima volta in Italia. Altri prestatori sono la Collection Musée Magnelli Musée de la céramique di Vallauris e il Musée National de l’Histoire de l’Immigration di Parigi. Nell’allestimento sono inclusi anche fotografie, lettere e documenti originali che avvalorano il racconto, come il Dossier d’étranger del 1901 o le richieste per la carta d’identità per stranieri. Tra i materiali audiovisivi che corredano l’esposizione c’è lo slideshow delle foto che Dora Maar scatta nei 35 giorni in cui Picasso dipinge Guernica nell’atelier di rue des Grands-Augustins, poi pubblicate nella rivista Cahiers des Arts 12, 1937.

L’esposizione è stata realizzata anche grazie al sostegno di Unipol Gruppo e di BPER Banca.

Serena Morgagni, Responsabile della Direzione Communication di BPER Banca ha commentato: “Con il sostegno a quella che rappresenta una delle più importanti iniziative artistiche della stagione, confermiamo il nostro impegno nella promozione e divulgazione dell’arte e della cultura. Desideriamo offrire alla collettività esperienze di altissimo valore artistico considerandole occasioni di inclusione e di crescita sociale”.

Dopo Milano, la mostra proseguirà a fine febbraio a Roma al Museo del Corso con una tappa che approfondirà l’esperienza di Picasso nella città con Serge de Diaghilev, Jean Cocteau, Erik Satie e Leonid Massine.

 

 

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