è cultura!
Festival è cultura!

Tanti appuntamenti in palinsesto aspettando la settimana del Festival
dal 11-18 ottobre in tutta Italia

ABI - Associazione Bancaria Italiana
Festival è cultura!

Tanti appuntamenti in palinsesto aspettando la settimana del Festival
dal 11-18 ottobre in tutta Italia

Otto grandi fotografi per Gianfranco Ferré

Otto grandi fotografi per Gianfranco Ferré

6 Febbraio 2025

di Maddalena Libertini

Nella mostra al Forte di Bard in Valle d’Aosta i codici estetici della moda sposano quelli della fotografia negli scatti iconici delle collezioni firmate dal grande stilista tra il 1979 e il 2002

C’è una storica foto che periodicamente torna a circolare sui social e che è stata scattata nel 1985 da Adriana Mulassano, celebre giornalista e ufficio stampa di moda. Davanti allo sfondo del Duomo di Milano è raggruppato il dream team degli stilisti – oggi si preferisce dire fashion designer – che hanno fatto grande il Made in Italy nel mondo. Quattro di loro, nel decennio successivo sarebbero diventati assolute star, rivaleggiando e talvolta oscurando il primato delle maison parigine: Valentino, Armani, Versace e Ferré. Con loro ci sono Krizia, Mila Schön, Laura Biagiotti, Fendi, Missoni, Luciano Soprani, Romeo Gigli, Moschino, Mario Valentino. Quella foto risale solo a 40 anni fa, ma sembra alludere a un tempo lontano, una mitica età dell’oro, carica di energie, potenzialità e creatività artistiche e imprenditoriali.

Oggi che alcuni di quei brand non ci sono più e parecchi dei sopravvissuti e di quelli sopraggiunti dopo sono proprietà di grandi gruppi stranieri, non bisogna guardare indietro a quegli anni con nostalgia ma come a una eredità da celebrare e da cui attingere. Questa è l’attitudine con la quale si può visitare al Forte di Bard fino al 9 marzo la mostra Gianfranco Ferré dentro l’obiettivo, curata dal Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano e CZ Fotografia e che ha come partner istituzionali la regione Valle d’Aosta e la Fondazione CRT.

Di quei quattro moschettieri della moda italiana degli anni Novanta, Valentino potrebbe essere il cardinalizio Aramis; Armani il fascinoso Athos e Versace il guascone D’Artagnan; Ferré con il suo fisico imponente incarnerebbe bene Porthos. Il carattere schivo e riservato dello stilista, invece, non corrisponderebbe al personaggio di Dumas, anche se chi era nella sua cerchia più stretta lo racconta come un uomo esigentissimo ma anche divertente e scherzoso. Scomparso nel 2007, oggi Ferré avrebbe ottant’anni ed è troppo poco ricordato. Eppure in carriera è riuscito nell’arduo compito di risollevare le sorti appannate di una delle principali case di moda francesi, Christian Dior, di cui venne nominato direttore artistico nel 1989.

Per mettere in scena l’universo creativo di Ferré al Forte di Bard è stata fatta la scelta di raccontarlo per immagini, quelle di 8 maestri, in questo caso della fotografia di moda, che hanno collaborato con lui per le campagne pubblicitarie delle sue collezioni: Gian Paolo Barbieri, Guy Bourdin, Michel Comte, Patrick Demarchelier, Peter Lindbergh, Steven Meisel, Bettina Rheims e Herb Ritts. Otto giganti che a loro volta sono stati oggetto di numerose mostre monografiche (in corso a Parigi una dedicata a Lindbergh proprio alla Galerie Dior) e che sono qui riuniti per rendere omaggio al genio creativo dello stilista italiano, ognuno con la propria cifra distintiva. Le collaborazioni si sono ripetute nel tempo con alcuni, sono state saltuarie con altri; alcune erano espressioni della tendenza del momento, altre di una sintonia di lungo corso. Complessivamente coprono un arco temporale che va dalla fine degli anni settanta all’inizio del XXI secolo che si può scorrere in 90 opere, esposte per la prima volta, della sezione fotografica dell’Archivio Storico Gianfranco Ferré.

La galleria di immagini è stata organizzata in sei sale secondo altrettanti principi operativi attribuiti a Ferré – comporre, ridurre, enfatizzare, ricalibrare, decostruire, emozionare –, combinando le foto con altri elementi costitutivi del processo di costruzione della collezione, quali schizzi, cartelle materiali fino agli abiti finiti, e della campagna visiva, provini, fotocolor, diapositive e scatti annotati dai fotografi. Un patrimonio prezioso che, insieme ad altri cosiddetti “fashion ephemera” come gli inviti, i materiali promozionali e i comunicati stampa delle sfilate, sta ricevendo sempre più attenzione per riconcepire la storiografia contemporanea del sistema della moda (a questo proposito fino al 24 marzo al museo nazionale di Oslo la mostra Ephemeral Matters. Into the Fashion Archive).

Questo insieme polisemico e multidisciplinare di oggetti rende conto della coprogettazione del designer e del fotografo nella creazione di un immaginario espressivo che doveva rispettare le identità stilistiche di entrambi e allo stesso tempo essere un prodotto promozionale destinato a essere inviato alle testate di moda, a entrare in un lookbook o nei cataloghi commerciali.

Ferré e i suoi fotografi si sono misurati su collezioni haute couture, prêt-à-porter, donna, uomo, prime e seconde linee, trovando la chiave per restare sempre coerenti con sé stessi pur nell’evoluzione del proprio linguaggio, del costume e dei modelli di femminilità e mascolinità. Si parte dalla fine degli anni Settanta con le foto delle prime campagne di Demarchelier. Con quelle di Barbieri si sconfina negli ottanta, in cui si entra a pieno diritto con le geometrie inaspettate e i colori audaci di Bourdin, ritenute troppo originali per un uso pubblicitario e pubblicate in un editoriale di Amica. In questo decennio inizia l’intesa con Ritts, la più intensa con 28 campagne in 12 anni: il californiano è quello che più ha compreso e restituito la solidità dell’armonia strutturale di Ferré. Gli anni novanta vedono la collaborazione con l’unica fotografa donna del gruppo, Bettina Rheims, incentrata su ritratti femminili non convenzionali interpretati dalle modelle Nadja Auermann e Shalom Harlow. È quell’epoca aurea in cui basta il nome di battesimo per identificare le top: Cindy, Christy, Carla e Linda, che torna più volte come musa degli scatti del geniale Steven Meisel. È il 1992/1993, lo stesso in cui esce lo scandaloso libro Sex che il fotografo realizza con Madonna. Ferré e Meisel sono legati a un’altra famosissima foto, quella che Franca Sozzani sceglie per esordire come neodirettrice di Vogue Italia sulla copertina del numero di luglio/agosto e sancire la rivoluzione del suo nuovo corso. Un altro protagonista dei Novanta è Michel Comte con 16 campagne dal 1995 al 2000: i suoi scatti sembrano fermo immagine estrapolati da film che spaziano tra generi cinematografici ed epoche storiche. Per interpretare lo stile Ferré del XXI secolo è stato scelto Peter Lindbergh, mostro sacro della fotografia di moda. Di stessa età e stessa autorevolezza, il loro incontro professionale è relativamente tardivo ma dura 11 campagne tra il 2000 e il 2002. A Lindbergh si deve uno degli scatti più singolari della mostra: quello per la collezione prêt-à-porter P/E 2002 in cui riesce sorprendentemente a far entrare nell’inquadratura Ferré stesso, elegantissimo con un completo bianco, il cappello di paglia e gli occhiali scuri, dietro la modella Nina Heimlich fasciata in un tubino lungo aderente, anch’esso bianco, in una impressione generale di grande naturalezza.

Ferré si può vedere anche in due bei ritratti: uno giocoso del 1995 in cui si sta annodando la cravatta e ha due spille da balia che pendono da un’asola del panciotto come un accessorio o uno strumento del mestiere; l’altro del 1996 è firmato da un nome che non ha bisogno di commenti, Helmut Newton, ed è ancor più ironico. Nell’inquadratura lo stilista punta il dito con il braccio destro alzato e il sinistro con la mano sul fianco, l’espressione grave di un comandante nell’atto di impartire un perentorio ordine, mentre la posizione rilassata delle gambe nella parte inferiore sembra smentire la serietà della situazione. Newton aggiunge la dedica: “con ammirazione”.

Ma per ritrovare Ferrè, bisogna cercarlo nel segno svelto dei suoi schizzi, tracciati spesso con il roller Montblanc; nel design di spille e gioielli, complementi fondamentali con i quali aveva iniziato la sua carriera; nelle selezioni dei tessuti, nell’artigianalità magistrale dei decori e dei plissé e nei tagli e nei volumi degli abiti che spesso nascevano direttamente sul corpo delle modelle e solo dopo venivano riportati sulla carta. E nell’architettura della camicia bianca, il suo marchio di fabbrica, che nelle sue mani e nella sua penna si rigenerava continuamente in un’infinita gamma di possibilità.