La ricerca della felicità di Robert Doisneau

La ricerca della felicità di Robert Doisneau

Banco BPM

11 Settembre 2023

Terminerà il 15 ottobre 2023 la retrospettiva ai Chiostri di Sant’Eustorgio a Milano dedicata a uno dei più famosi fotografi del Novecento, esponente della corrente umanista francese.

 

Osservatore curioso e instancabile, ha documentato la Parigi in cui viveva con uno sguardo partecipato e poetico nei confronti dei soggetti che ha ritratto. Attraverso i suoi scatti ha rivelato anche se stesso e la sua esperienza esistenziale.

 

Nella quasi totalità delle fotografie di Robert Doisneau c’è almeno un essere umano. Non lo attrae tanto lo spettacolo della natura, non subisce il fascino astratto dell’architettura, non si appassiona al gioco geometrico delle luci e delle ombre. I luoghi che lo interessano sono animati da una presenza umana, anche quando è solo una silhouette in lontananza. Tra le foto dell’antologica in corso a Milano, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il patrocinio del Comune meneghino e il contributo di Fondazione Banca Popolare di Milano – la fondazione creata nel 2019 da Banco BPM – e di Fondazione Fiera Milano, ce n’è però una che non è “abitata”, anche se è come se lo fosse. È “La giostra di Monsieur Barré”, scattata nel 1955.

L’attrazione popolare veniva montata nella piazza del municipio del XIV arrondissement di Parigi per la fiera annuale e solo da vicino si poteva notare che era completamente realizzata con pezzi di recupero. Doisneau la coglie vuota sotto una pioggia torrenziale ma, in qualche modo, riesce a includervi l’eco delle risate, dei gridolini di emozione, delle voci divertite dei bambini che vi erano saliti fino a poco prima. In qualche modo, quindi, questa assenza fantasmatica è una “dimostrazione per contraddizione” dell’essenza del lavoro di Doisneau: come spettatori, chiediamo al fotografo di rinnovare a ogni scatto la sua magia, la sua abilità di provocare in noi un senso naturale di tenerezza verso il soggetto, una connessione empatica, la stessa che, secondo il curatore Gabriel Baudet, egli per primo cercava di instaurare con il mondo che lo circondava. 

E quel mondo era la strada, le strade della sua città, soprattutto delle periferie, a cui dedicherà nel 1949 il suo primo libro illustrato “La Banlieue de Paris” con i testi dello scrittore Blaise Cendrars.

Lui, che per mestiere è stato fotografo industriale per la Renault, reporter di riviste e autore di servizi su commissione e pubblicità, fotografo di Vogue, sentiva che la sua dimensione ideale stava nella libertà – “disobbedienza e curiosità sono i requisiti fondamentali della mia professione”, afferma – e, appena poteva, scappava dallo studio per tornare nella strada. “È lì che bisogna andare”, dice, trovare un posto, stabilire l’inquadratura e aspettare “con una specie di speranza folle e irrazionale che le persone entrino nel riquadro”.

È nel palcoscenico della strada che incontra i suoi personaggi, li immortala in scatti presi al volo oppure, dando un piccolo aiuto al caso, creando una messa in scena e divertendosi a provocare una reazione. Come nel caso di “Un regard oblique” (1948) o del passante de “Le fox terrier du Pont des Arts” (1953), voltato di spalle a sbirciare un pittore amico del fotografo che dipinge un nudo femminile mentre è il suo cane che guarda dritto verso l’obiettivo. È una parziale costruzione anche la sua foto più celebre, “Le baiser de l’Hotel de la Ville” (1950), un incarico della rivista “Life” che voleva un ritratto di Parigi come città dell’amore.

Solo molti anni dopo, Doisneau rivelerà di aver chiesto a una giovane coppia di aspiranti attori incontrati in un caffè di posare in diversi posti della città baciandosi. E lo scatto che è passato alla storia è quello realizzato davanti all’Hotel de la Ville, con i due ragazzi al centro della scena che nel bacio si sottraggono al movimento incessante e incurante della città che passa loro accanto e, di fatto, allo scorrere del tempo, restando eternamente giovani e innamorati. Pubblicata nel servizio sulla rivista americana, racconta la nipote di Doisneau, Clémentine Dérouidille, la foto ricevette poca attenzione finché negli anni ottanta venne proposto a suo nonno di farne un poster, diventando da allora iconica.

Le 130 stampe in bianco e nero in mostra provengono tutte dall’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, un sobborgo a sud di Parigi attaccato a quello dove era nato nel 1912, Gentilly, e si concentrano tra gli anni trenta e gli anni sessanta, suddivise in sezioni tematiche. Raccontano il quotidiano, il semplice, l’ordinario della Parigi prima e dopo la guerra: una coppia che balla nella notte, i cortei dei matrimoni, il mondo del lavoro, i giochi dell’infanzia, i momenti di svago sulla riva della Senna, la fila per entrare al cinema e, sempre con il massimo rispetto e senza indulgere nel pittoresco, la condizione degli umili e dei baraccati.

È facile immaginarsi questo fotografo ambulante, come lui stesso si definiva, questo flâneur con la camera al collo, girovagare per la città, macinando chilometri solitario o in compagnia dell’amico poeta Jacques Prévert, immaginarsi i due partire di buon mattino e attraversare Parigi senza una meta prefissata. “Camminavo con il naso in su, confidando nella generosità del caso, con un’attrezzatura estremamente spartana che rappresentava una garanzia contro il virtuosismo”, ricorda Doisneau. 

Il suo compagno notturno, invece, è un altro scrittore, Robert Giraud, il virgilio della Parigi dei bistrot e dei locali: con lui Doisneau lascia la strada, si avventura negli interni lasciando che siano sempre le persone che fotografa a incarnare lo spirito dei quei luoghi. Come accade anche per la serie commissionatagli da Vogue nel 1949 sulle portinerie di Parigi: “I veri portinai esistono soltanto a Parigi. La vera Parigi non può essere concepita senza i suoi portinai”, scrive nel testo introduttivo al reportage.

L’ultima sezione è quella dedicata ai ritratti, qui si ritrova la galleria dei volti più o meno noti, tra cui molti artisti: Léger, Giacometti, Dubuffet, Tinguely e soprattutto Picasso. Con lui si diverte a giocare, la vena istrionica dell’artista spagnolo stimola il suo registro umoristico e il risultato è “Les pains de Picasso” (1952), in cui dei panini disposti a ventaglio sulla tavola diventano le dita delle tozze mani (mains in francese) del pittore.

Marcel Proust ha detto che la fotografia “è l’arte dimostrare di quanti istanti effimeri sia fatta la vita”, ed è in questi proprio in questi istanti fugaci catturati con la sua Rolleiflex che Doisneau va a scovare la felicità.

 

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