di Maddalena Libertini
Dai busti delle imperatrici romane alle rappresentazioni di sante, cortigiane e personaggi mitologici dei maestri del Rinascimento: alle Gallerie d’Italia di Vicenza, in oltre 70 opere, le chiome femminili nell’arte spiegano l’importanza dei capelli nella cultura occidentale e il loro legame con la condizione delle donne nella società.
“Non siano in disordine i capelli; la mano che li cura può donare o annullare la bellezza. L’acconciatura non è di un solo tipo: scelga ogni donna quello che le sta bene e al proprio specchio chieda prima consiglio… E a me non è dato racchiudere in un numero tante fogge diverse perché ogni nuovo giorno aggiunge nuove acconciature.”
Potrebbe riferirsi all’oggi invece che al I sec. a.C. questo passo dell’Ars Amatoria di Ovidio, citato nel percorso della mostra “Le trecce di Faustina”, a cura di Howard Burns, Mauro Mussolin e Vincenzo Farinella, nella sede di Vicenza delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo fino al 7 aprile. Giulia, Domizia, Faustina Maggiore, Faustina Minore: le elaboratissime pettinature delle donne della famiglia imperiale romana facevano tendenza e venivano imitate dalle loro contemporanee lasciando, però, spazio a un’ampia gamma di varianti e combinazioni, poiché erano uno dei mezzi più importanti di espressione sociale femminile.
Da più di duemila anni le donne si acconciano i capelli, ben consapevoli che questa componente sarà determinante non solo per la loro estetica ma, più in generale, per l’immagine con cui vogliono rappresentarsi agli occhi degli altri. Bellezza, seduzione, forza, potere, ruolo sociale, tutti questi significati sono veicolati dalle capigliature. Un elemento apparentemente accessorio come le fogge delle chiome femminili è in grado di dirci moltissimo della cultura e del sistema di valori stabiliti da una collettività e degli aspetti, solo apparentemente più frivoli, legati alla moda e al costume che contraddistinguono una determinata epoca. Se poi si riescono a rintracciare anche influenze e trasmissioni di tradizioni e modelli, il tema diventa ancora più interessante.
Un ragionamento di questo tipo è stato sviluppato nella mostra vicentina applicandolo a uno dei momenti di massima fioritura delle arti e della cultura del nostro paese: il Rinascimento. Pensatori e intellettuali delle corti italiane del Quattro-Cinquecento si rivolgono al mondo classico per immaginare una nuova forma della società basata su ideali di armonia, bellezza e prosperità mentre gli artisti trasferiscono questa ripresa dell’antico nelle loro opere: nelle figure femminili che ritraggono lo fanno attraverso le acconciature dei capelli.
Tra i modelli recuperati uno dei più eclatanti è il turbante di trecce dell’imperatrice Faustina Maggiore, moglie di Antonino Pio, che Giovanni Bellini rievoca in maniera non filologica nella santa Caterina della sua Sacra Conversazione con una sovrapposizione di fili di perle. Ne parliamo con uno dei tre curatori, Mauro Mussolin, storico dell’architettura e docente universitario:
“Faustina ci è servita come filo conduttore per comprendere il tema del revival dell’antico e quello dell’identificazione di una specifica acconciatura con un certo tipo di espressione sociale, economica e di moda. Faustina è un esempio molto positivo di amore coniugale e fedeltà e ben rappresenta il progetto che Rinascimento ha sull’antichità riguardo a certi personaggi scelti come modelli. È poi una acconciatura bellissima, non particolarmente complessa, che tiene anche conto dell’usanza delle donne, che permane anche nel Medioevo, di arrotolarsi le trecce sulla testa”.
Il Rinascimento semplifica e codifica in modo erudito e sistematico le acconciature immortalate nelle monete romane e nella statuaria classica così come fa con gli elementi dell’architettura che formalizza nei trattati, creando un vocabolario con cui comporre una nuova sintassi di palazzi, chiese, edifici pubblici e ville suburbane. E le complesse pettinature, arricchite di dettagli, ornate con gemme, nastri ed elementi vegetali sono costruite su più livelli con tecnica e perizia come strutture architettoniche. Paradigmatico in questo senso Michelangelo, alle cui fantastiche chiome adornate con “labirinti di trecce” è dedicata una sezione della mostra.
“Forse non è un caso che tra noi tre curatori due siano storici dell’architettura perché le acconciature sono una questione di composizione. E nessuno è più compositivo di Michelangelo. Michelangelo mette ordine in un problema squisitamente iconografico: guarda la tradizione, vede se ci sono ambiguità e incongruenze, incomincia a fare ordine e riorganizza il sistema di codici e riferimenti. Poi però non rinuncia a mettere insieme elementi di fonti diverse e li costringe a dialogare, li costringe all’unità in una nuova invenzione. La sua è una meravigliosa armonia dissonante. Per lui acconciature di un certo tipo servono a esprimere essenzialmente regalità e sacralità. Le due cose possono anche coincidere: le sante rientrano nelle sacralità ma anche le regine in quanto la figura regale è di per sé sacra.”
Capigliature raccolte e disciplinate e chiome libere e selvagge: la ripresa dei modelli antichi segna nel Quattrocento una progressiva liberazione dei capelli femminili, domati pudicamente nei secoli precedenti dai precetti religiosi e dalle leggi suntuarie. Si avvia così un’eroticizzazione delle chiome femminili. Un feticcio d’amore e di desiderio esposto in mostra è la ciocca bionda attribuita a Lucrezia Borgia, conservata in una teca-reliquiario dell’inizio del XX secolo: i capelli d’oro che avevano fatto innamorare lo scrittore cortigiano Pietro Bembo.
“Il Rinascimento prende le distanze dagli aspetti giuridici e teologici che nel Medioevo avevano ingenerato diffidenza e repulsione verso i capelli. Nel Medioevo la tradizione filosofica e religiosa cercava di controllare la natura bestiale dell’uomo: per la Chiesa i capelli erano materia secreta dal corpo e, come tali, escrementi. Non se ne può controllare la crescita, sono simbolo di vanità e di una energia che non è facile da contenere e questo destava sospetto. Nel mondo pagano, invece, i capelli erano seduzione e bellezza e appunto come tali vengono resuscitati da Boccaccio e dall’Umanesimo. La Venere di Botticelli è l’immagine più scioccante e provocatoria che il Rinascimento abbia prodotto su questo tema. Capelli completamente bestiali, selvaggi in una figura nuda che si riveste solo dei propri capelli: è un modo di dire ‘ora basta’, tutti hanno diritto a lasciarsi sedurre dalla bellezza dei capelli.”
Le rappresentazioni artistiche aiutano a liberare almeno in parte la società rinascimentale. Nelle corti si iniziano a trasgredire le regole che stabiliscono quanto e quando le donne possono tagliare i propri capelli, fino a che età o in quale condizione sociale possono esporli senza essere considerate immorali e dissolute.
Esprime questo desiderio di libertà femminile un’altra citazione presente in mostra e tratta da Il merito delle donne della poetessa veneziana Moderata Fonte che, alla fine del XVI secolo, scrive: “Ma che hanno di grazia da impacciarsi gli huomini, se noi si volgemo i capelli più ad un verso che ad un altro? E se si ingegniamo di parer belle in tutti i modi facendo dei nostri capelli ciò che ne piace poi che siam nate per allegra e adornar el mondo?”