di Maddalena Libertini
La Galatea di Andrea Sacchi esce da palazzo Altieri per essere esposta alla mostra “Il Seicento in Villa Farnesina”. Il prestito dalla collezione dell’ABI permette un confronto ravvicinato tra la copia seicentesca, l’analoga di Pietro da Cortona e l’affresco originale di Raffaello.
La villa di Agostino Chigi, diplomatico e banchiere senese che amministrava le finanze del papa, fu per secoli un modello di architettura e arte. Denominata poi la Farnesina, fu costruita da Baldassarre Peruzzi tra il 1506 e il 1512 e si affacciava sulle sponde del fiume in un’area che oggi è difficile immaginare come suburbana, nonostante restino ancora nascosti nelle stradine di quella parte di Trastevere lacerti di orti e giardini che possono renderne l’idea.
Era stata concepita come un luogo di delizie all’antica, non destinata a residenza quindi, ma agli otia per ritemprare lo spirito dagli affari mondani attraverso la natura e le arti. La villa aveva anche una funzione di rappresentanza per mostrare la ricchezza e la munificenza del suo proprietario. Leggendari sono gli aneddoti dei fastosi banchetti serviti a bordo fiume in piatti d’oro e d’argento, gettati in acqua a fine pasto ma, in realtà, prontamente recuperati tramite reti. L’impostazione dell’edificio era pensata per favorire il rapporto con il verde circostante attraverso il filtro della Loggia di Psiche, uno spazio intermedio tra interno ed esterno affrescato da Raffaello e dalla sua bottega con una struttura illusionistica di elementi vegetali con animali e oltre duecento specie botaniche come se fosse un ideale prolungamento del giardino dentro l’architettura. La loggia poteva fungere anche da palcoscenico per rappresentazioni teatrali ed esecuzioni musicali. Attraverso la sua villa Agostino si raccontava così ai suoi contemporanei non solo come uno degli uomini più potenti della sua epoca, ma come un grande mecenate e patrono delle arti.
Con la sua architettura e le sue opere la villa divenne da subito un oggetto del desiderio da replicare e da emulare o, ancor meglio, da avere tra i propri possedimenti: non a caso nel 1579 se la aggiudicò, aggirando un vincolo testamentario, il cardinale Alessandro Farnese, nipote di un altro grande protagonista della stagione rinascimentale romana, papa Paolo III, e da questo acquisto deriva la attuale denominazione. Possederla significava infatti possederne anche gli straordinari affreschi dipinti sulle pareti da Peruzzi, Sebastiano del Piombo, il Sodoma, ma soprattutto quello che ne era considerato il capolavoro: Il Trionfo di Galatea di Raffaello.
La Galatea
L’ammirazione per l’opera del Sanzio alla Farnesina continuerà anche nei secoli successivi. L’opera sarà copiata da pittori di fama e queste copie entreranno in prestigiose collezioni come pezzi di primaria importanza. Ne sono un esempio la Galatea di Pietro da Cortona, oggi all’Accademia di San Luca proveniente dalla collezione Sacchetti, e quella di Andrea Sacchi, parte della raccolta dell’Associazione Bancaria Italiana e originariamente della famiglia Altieri.
Ne parliamo con Costanza Barbieri, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Accademia di Belle Arti di Roma e autrice della monografia Gli astri benigni di Agostino Chigi. Peruzzi, Sebastiano e Raffaello nella Loggia della Galatea.
Qual è stata la fortuna e la ricezione della Galatea di Raffaello? Perché era così amata e copiata?
Nella biografia che gli dedica nelle sue Vite, Giovanni Battista Passeri attribuisce ad Andrea Sacchi una frase su Raffaello: “Vogliono darmi a intendere che Raffaello fosse un uomo, non è vero, era un angelo”. Questo giudizio sintetizza la devozione, quasi la venerazione di cui godeva l’Urbinate nel Seicento. Le copie della Galatea dipendono, a mio parere, dall’associazione con l’idea del bello che poi diventerà imperante. All’inizio del XVII secolo si sta ancora cercando una sintesi con il naturalismo caravaggesco e Raffaello è il maestro di questa duplice visione che riesce a coniugare la realtà, quindi la natura, con l’ideale. Vale la pena di ricordare un altro brano, questa volta attribuito allo stesso Raffaello in una lettera di risposta a Baldassarre Castiglione che aveva lodato la bellezza della sua Galatea: “… le dico che, per dipingere una bella, mi bisogneria veder più belle, con questa conditione, che Vostra Signoria si trovasse meco a far scelta del meglio. Ma essendo carestia, e de’ buoni giudicii, e di belle donne, io mi servo di certa Iddea che mi viene nella mente”. Pubblicata da Ludovico Dolce nel 1554, non sappiamo se la lettera fu scritta davvero dal Sanzio o dallo stesso Castiglione, ma certo rappresenta una sorta di manifesto della teoria del bello ideale, assunta nella letteratura artistica a partire dalla cerchia dei Carracci ed elaborata prima da Agucchi e poi da Bellori. Nella lettura neoplatonica la Galatea è l’incarnazione della bellezza che è l’unica cosa visibile del divino all’occhio umano, l’unica in grado di innalzare l’anima umana verso il divino.
Qual è la storia della Galatea di Andrea Sacchi conservata a Palazzo Altieri?
Il nome di Andrea Sacchi è tornato in causa di recente perché aveva prevalso una attribuzione a Francesco Albani, mentre la storia del dipinto ci parla di una continuità molto importante. Nel 1700 Giacomo Pinarolo nel suo Trattato delle cose più memorabili di Roma include la Galatea di Andrea Sacchi che ha visto a Palazzo Altieri. La sua guida era un vero e proprio bestseller dell’epoca, ristampato a più riprese ma la sua prima pubblicazione era abbastanza vicina al momento in cui il quadro deve essere approdato nella raccolta Altieri. Abbiamo un altro termine cronologico: il 1661, quando Sacchi muore, nell’inventario del suo testamento vengono citate due Galatee copiate da Raffaello, un grande quadro incorniciato e una tela arrotolata che dobbiamo presupporre ugualmente di grandi dimensioni. Tra queste due date Carlo Maratti è al lavoro per gli Altieri ed è il loro artista di riferimento, il loro consigliere, nonché il pittore più affermato del momento, principe perpetuo dell’Accademia di San Luca. Maratti era cresciuto nella bottega di Sacchi che gli aveva trasmesso l’amore per Raffaello e sicuramente era a conoscenza dell’esistenza delle copie della Galatea. È molto probabile che abbia fatto da intermediario tra gli Altieri e gli eredi o abbia comprato egli stesso, per poi rivenderla, una tela venerabile per lui, perché era del suo maestro ed era dall’originale di Raffaello, quindi aveva una duplice valenza affettiva e artistica.
Queste opere cosa ci dicono della considerazione del rapporto tra originale e copia rispetto al contemporaneo?
La cultura che Agostino e Annibale Carracci mettono in circolo tra gli artisti include lo studio dei maestri, da Tiziano a Raffaello, a Correggio, e in questa ottica la copia non è solo una pratica di perfezionamento tecnico, ma significa acquisire una forma mentis, un modus operandi. Dal punto di vista dei committenti alcune di queste copie venivano valutate quanto gli originali, perché erano opere di grandi pittori che si misuravano con altri grandi pittori, ed erano in molti a richiederle o a volerle acquistare. Penso a una grande collezionista come Isabella d’Este. Forse dovremmo rivedere il nostro concetto di copia che si è formato a partire dall’Ottocento con la nascita della fotografia. Oggi abbiamo molti modi di riprodurre gli originali, anche in maniera estremamente fedele, allora le copie erano l’unico modo per potersi appropriare di un universo di immagini. Quando si affermano contestualmente la fotografia e il mercato dell’arte internazionale, allora la copia perde valore.
La scoperta e la mostra
La fase più gloriosa della villa è stata certamente quella del XVI e dell’inizio del XVII secolo. Già a partire dalla prima metà del Seicento l’edificio venne usato soprattutto solo per alloggiare ospiti illustri, salvo finire poi quasi in stato di abbandono al volgere del secolo, quando fu chiamato urgentemente Carlo Maratti con la sua bottega per un intervento conservativo. Trasferita ai Borbone nel 1766, nel 1927 la Farnesina è stata acquistata dallo Stato Italiano come sede dell’Accademia d’Italia e dal 1944 è la sede di rappresentanza dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Restaurata e rimaneggiata a più riprese con i vari passaggi di proprietà, la villa ha subito modifiche che ne hanno alterato alcuni spazi originali.
Una recente scoperta ha riportato alla luce un intervento decorativo finora sconosciuto, attribuibile alla fase seicentesca. Accedendo al vano di intercapedine sopra la volta realizzata nell’Ottocento, l’attuale conservatrice Virginia Lapenta ha rinvenuto alcune porzioni del soffitto del precedente soggiorno, un cielo con putti in volo intorno allo stemma Farnese di cui si era completamente persa traccia.
Intorno a questo importante ritrovamento è nato il progetto dell’esposizione “Il Seicento in Villa Farnesina” – con il patrocinio dell’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, in collaborazione con l’École Française de Rome e con il Parco Archeologico del Colosseo – curata da Alessandro Zuccari e Virginia Lapenta. Dal 6 novembre 2024 al 12 gennaio 2025 saranno presentate al pubblico le inedite pitture murali, che non sono direttamente accessibili data la posizione, grazie a una webcam e a una serie fotografica di Luigi Spina. La ricostruzione 3D con LaserScan e quella ad acquerello del restauratore Antonio Forcellino restituiscono la spazialità originaria dell’ambiente diviso in due da un muro per il consolidamento ottocentesco. Accanto a questo, la mostra approfondirà l’influenza delle opere di Raffaello e della sua bottega nel Seicento tramite il confronto con le copie d’artista. Oltre alle Galatea di Sacchi e da Cortona, sarà presente una copia, questa non attribuita, di proprietà dell’École Française, mentre alle pitture nei pennacchi della Loggia di Amore e Psiche si ispirano l’Ercole con la clava di Sassoferrato, che cita la figura di Giove, e due tele di Antonio Carracci che rielaborano Amore con le tre Grazie e Venere con Giunone e Cerere, probabilmente dipinte su commissione del cardinale Odoardo Farnese per il salone del grande palazzo della famiglia, situato proprio dall’altro lato del fiume.