Sprazzi sgargianti di vite ordinarie

Sprazzi sgargianti di vite ordinarie

8 Aprile 2024

di Maddalena Libertini

La società contemporanea vista come in una fiction dai colori saturi e dal registro umoristico nelle fotografie di Martin Parr al Mudec di Milano.

 

Il sito della Magnum, l’agenzia di cui Martin Parr è membro dal 1994, lo definisce “a chronicler of our age”. All’interno di questa espressione, piuttosto semplice, sono contenute diverse sfumature del lavoro di Parr. La prima è l’approccio documentario che il fotografo inglese ha saputo elevare alla dimensione artistica. La seconda è la sua abilità di illustrazione di un’epoca che in lui si configura soprattutto attraverso la rappresentazione delle idiosincrasie dei comportamenti umani. La terza è l’elemento della cronaca, ovvero la registrazione di fenomeni sociali contemporanei, come per esempio il processo di massificazione e globalizzazione, attraverso le situazioni della vita di tutti i giorni. In questo senso Parr è, appunto, più un “cronista” che uno “storico”, perché rispetto ai grandi eventi e ai grandi personaggi preferisce rivolgere il suo sguardo alle persone comuni e alle loro esistenze ordinarie. C’è infine l’accezione del termine “chronicle” che si può tradurre in “diario” e che coglie il tono personale e partecipato che contraddistingue le sue immagini, la sua “voce” inconfondibile, ironica e tagliente che ama indulgere nel parossismo dei colori e dei dettagli.

Per verificare dal vivo tutti questi aspetti si può visitare al Mudec, fino al 30 giugno, la mostra “Short& Sweet”, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura, e della quale Fondazione Deloitte è Institutional Partner, che raccoglie oltre 60 fotografie selezionate da Martin Parr stesso, l’istallazione Common Sense e una videointervista inedita con la storica e critica della fotografia Roberta Valtorta.

Nove progetti fotografici ripercorrono in altrettante tappe espositive la carriera di uno dei fotografi più famosi degli ultimi decenni, in cui ricorrono i temi del tempo libero, del consumismo e dei suoi rituali collettivi, dei codici della cultura di massa, delle contraddizioni della società contemporanea e della natura umana.

All’attitudine documentaria appartiene una serie degli esordi, The Non-Conformists, iniziata nel 1975 e trasformata in libro solo una decina di anni fa. Neodiplomato alla scuola d’arte di Manchester, si trasferisce a Hebden Bidge nello Yorkshire in compagnia di Susie Mitchell, sua futura moglie e aspirante scrittrice. Lui con la fotografia e lei con la scrittura descrivono gli eventi quotidiani degli abitanti della cittadina, in particolare quelli legati al culto metodista. La piccola comunità incarnava ai loro occhi il tramonto di una civiltà contadina e operaia destinata ineluttabilmente a estinguersi. Nelle immagini rigorosamente in bianco e nero cominciano ad affiorare i primi sprazzi dell’humour che contraddistinguerà gli scatti più famosi. Ancora in B/N e intrisa di “Britishness” è Bad Weather (1982), dedicata all’ossessione tutta inglese per il meteo. Qui si manifesta l’indole provocatoria di Parr nel ribaltare la convenzione di fotografare con le migliori condizioni di luce: decide di scattare solo con il maltempo chi corre riparandosi come può sotto la pioggia o chi resiste impassibile. Con The Last Resort (1982-1985) arriva il colore e l’identità stilistica di Parr si fa più definita. Il soggetto è quello dello svago del tempo libero, indagato poi a più riprese: in questo caso quelle delle famiglie proletarie nella località balneare di New Brighton, vicino Liverpool, in pieno thatcherismo. In queste foto è consistente la sensazione di assistere al passaggio di testimone tra due civiltà, quella anacronistica del tè delle cinque e del lido in rovina cede il passo all’invasione di cemento, junk food e spazzatura. Il mondo inizia a diventare piccolo, la globalizzazione avanza e tra il 1989 e il 2008 Parr lavora a Small World. Il fenomeno del turismo di massa è mostrato nella sua assurdità grottesca di vacanza low cost e divertimento preconfezionato in cui orde anonime si muovono facendo le stesse cose, mettendosi in posa per la stessa foto della vacanza, creando cortocircuiti visivi e culturali e contribuendo al degrado dei luoghi che stanno visitando. In questo corpus di immagini, il più celebre, si trovano alcuni dei suoi scatti più iconici. Nel sottotesto della democratizzazione del viaggio e del tempo libero si può leggere però l’istintiva e condivisibile aspirazione umana alla felicità che in Everybody Dance Now assume toni meno caustici: la danza, dal ballo folkloristico alla discoteca, in tutti gli angoli del pianeta ne sono un’espressione che Parr ha osservato e fotografato, affascinato dall’energia e dal potere liberatorio che si sprigionano. Life’s a Beach e Establishment tornano su due temi a lui cari, la spiaggia e la società britannica mentre Fashion testimonia gli shooting di moda, un contesto nel quale, nonostante la celebrità raggiunta e le numerose committenze, ha recentemente dichiarato di continuare a sentirsi un outsider. Per un autore che persegue da decenni una critica al mercato del consumo, che preferisce la strada allo studio fotografico e che è più associato al gusto del kitsch che alla ricerca della bellezza, collaborare con brand e riviste di moda è forse un’altra occasione per giocare con il paradosso.

In fondo, dal linguaggio della pubblicità, lui stesso ha ammesso di aver prelevato la tavolozza di colori saturi e sgargianti, applicando la lucentezza e lo smalto delle merci pop, l’abbondanza e il glitter, l’allegria esasperata e la promessa di benessere plastificato al taglio antropologico delle sue foto. Un immaginario che negli spazi del Mudec è condensato nell’istallazione Common Sense, con circa 200 scatti stampati in formato A3 su carta economica. Nell’esposizione di luoghi comuni, cliché, trivialità, vizi e illusoria prosperità, nelle intenzioni di Parr non c’è un giudizio impietoso, quanto una ammissione consapevole delle fragilità di essere umani. Nell’intervista che conclude il percorso della mostra, il fotografo dichiara: “Amo la gente, perché dovrei infierire? … in me c’è una dose di tenerezza ma temperata dalla malizia… Credo che un modo per imparare ad affrontare il mondo reale sia trovarlo divertente; è quello che cerco di fare e cerco di suscitare lo stesso divertimento con le mie immagini”.

 

Foto di copertina:

Martin Parr
La torre pendente
Italia, Pisa, 1990
Da “Small World”
© Martin Parr/Magnum Photos

 

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