Sulle tracce della Fermo romana

Sulle tracce della Fermo romana

Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A.

9 Settembre 2023

Reimpiegati nelle fondazioni di Palazzo Matteucci, sede di Carifermo, e ritrovati per caso negli anni trenta del Novecento, i resti del teatro antico saranno visitabili in ottobre durante le aperture previste per la manifestazione ècultura!

 

Le stratificazioni fisiche degli edifici che hanno inglobato le strutture precedenti ne hanno permesso la conservazione: oggi sono testimonianze preziose per comprendere la storia millenaria della città marchigiana.

Firmum, questo è il nome che i Romani diedero all’insediamento villanoviano (protoetrusco) in territorio piceno, quando nel 264 a. C. lo trasformarono in una loro colonia. Da quel momento Fermo diventerà un’alleata fedele, lodata da Cicerone e Plinio il giovane. “Firmum” ovvero solida, perché costruita su una solida altura, il colle Sàbulo, in posizione dominante sulla valle del fiume Tenna, protetta dal sopraggiungere di eventuali nemici sia da terra sia da mare e in controllo delle principali vie di comunicazione e di approvvigionamento di risorse.

Una collocazione orografica felice che aveva la sua acropoli naturale sulla sommità della collina, il Girfalco, dove oggi sorge la cattedrale di Santa Maria Assunta. Questo assetto non venne stravolto dai nuovi dominatori ma l’impianto dell’urbs prevedeva una regolarizzazione e una razionalizzazione che i Romani misero in atto con la consueta abilità ingegneristica alterando la fisionomia naturale del terreno con terrazzamenti, sostruzioni e contrafforti murari. Sui versanti del Sàbulo vennero quindi costruite piazze e strade e innalzati edifici.

La stratificazione della città medievale e moderna, la scarsa documentazione archeologica e la mancanza di scavi sistematici rendono difficile oggi rileggere la struttura urbana di Firmum, le sue architetture più importanti, le emergenze monumentali.

Tuttavia, il sottosuolo cittadino è ancora ricchissimo di tracce di epoca romana. Tra le grandi opere pubbliche di cui è possibile rintracciare i resti c’è il teatro di età imperiale. Sappiamo che fu addossato al lato settentrionale del colle,
sfruttandone così il pendio naturale per appoggiare la cavea.

Contemporaneamente, a dimostrazione della saggezza costruttiva dei Romani, le opere di fondazione della cavea servirono probabilmente a contenere fenomeni di smottamento e stabilizzare il terreno.

La porzione più affascinante dell’edificio scenico è stata scoperta casualmente nel 1934 in occasione di alcuni lavori nei sotterranei di Palazzo Matteucci, sede della Cassa di Risparmio di Fermo.

Qui, inglobato nelle fondamenta del palazzo, gli operai individuarono un muro in laterizi, alto circa 5 m, decorato da grandi nicchie inquadrate da lesene. Era situato nella parte più bassa del teatro antico, nella zona del “pone scaenam”, ovvero quella retrostante la scena, e il tratto murario doveva appartenere alla fronte esterna dell’edificio.

È stato ipotizzato che le nicchie contenessero delle statue oppure delle bocche di fontane. In un secondo ambiente dei sotterranei del palazzo, il muro romano si salda con elementi probabilmente pertinenti all’accesso esterno alla“Parados” occidentale, il corridoio di collegamento da cui gli attori entravano e uscivano dalla scena, e con un altro muro di grossi blocchi di pietra con funzioni di terrazzamento.

Il teatro fu costruito nel I sec. d.C., in età augustea, e fu restaurato sotto l’imperatore Antonino Pio (138-161), nel momento di maggior consistenza demografica della Fermo romana. Poteva contenere circa 2500 spettatori ed aveva il diametro maggiore di circa 78 metri.

Fuori terra sono visibili due muri concentrici che un tempo sostenevano la gradinata degli spettatori e che oggi delimitano un vicolo medievale.

Coeva al teatro è l’altra importantissima testimonianza conservata nel sottosuolo del centro storico: il grande e articolato impianto idrico, destinato a drenare, convogliare le acque sia di falda sia piovane e redistribuirle in tutta la città con canali sotterranei, pozzi e vasche di raccolta.

Un’opera grandiosa e particolarmente suggestiva di cui sono giunte fino a noi perfettamente conservate e visitabili le Grande Cisterne, con 30 sale comunicanti estese su 2200 mq.

 

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