“Da Baj a Ziveri. Gli artisti della Collezione Sanguineti”: un alfabeto di artisti nella collezione di uno dei maggiori esponenti della Neoavanguardia per scandagliare le interazioni tra arte e letteratura.
Una collezione privata si può interpretare come una forma di autoritratto: inevitabilmente tiene conto delle scelte e delle occasioni del collezionista; dei suoi gusti, che variano del tempo; degli incontri, con artisti, galleristi, mercanti d’arte; del valore che attribuisce alle cose. Questa considerazione diventa tanto più avvincente quando il ritratto che le opere tratteggiano è quello di un personaggio multiforme come Edoardo Sanguineti (1930-2010), poeta, romanziere, saggista, critico, drammaturgo e politico, figura di spicco della seconda metà del Novecento. Nel suo caso, il criterio collezionistico non è legato a un’idea di possedere o a una prospettiva di investimento, ma restituisce il quadro dell’insieme di relazioni di amicizia, di scambio intellettuale e di collaborazione che Sanguineti ha intrattenuto con gli artisti che compaiono nella sua raccolta e, conseguentemente, lo spirito del clima culturale in cui questi rapporti sono nati e hanno prosperato. Lo si può comprendere grazie alla mostra “Da Baj a Ziveri. Gli artisti della Collezione Sanguineti” (8.07.24–6.01.25), allestita al Palazzone di Biella dalla Direzione Artistica di Banca Patrimoni Sella & C. con il Centro Studi Interuniversitario Edoardo Sanguineti e il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino.
Il nucleo di queste relazioni amicali e di stima si forma prevalentemente in un decennio tra la metà degli anni cinquanta e quella degli anni sessanta per poi proseguire, in molti casi, per il resto della vita. Anni di forte fermento sia nel mondo letterario sia in quello delle arti figurative, di formazione di gruppi, di pubblicazione di manifesti, di fondazione di riviste. Sanguineti esordisce come poeta nel 1956 con Laborintus mentre si laurea in Lettere all’Università di Torino. In questa città ha conosciuto Albino Galvano, suo insegnante al Liceo, colui che probabilmente lo ha avvicinato alle arti figurative, Ugo Nespolo e Carol Rama, con i quali stabilisce duraturi legami affettivi. Dall’entourage milanese arrivano Enrico Baj e Sergio Dangelo, che nel 1951 avevano dato vita all’avventura del Movimento Nucleare e nel 1955 alla rivista Il Gesto su cui Sanguineti scrive. Ci sono poi i napoletani del Gruppo 58, vicini ai nuclearisti, tra cui Lucio Del Pezzo, Mario Persico, Guido Biasi, Sergio Fergola, con cui entra in contatto. E a Genova, sua città natale, dove tornerà più tardi per la docenza universitaria, partecipa all’esperienza interdisciplinare animata dallo storico dell’arte Eugenio Battisti che lo chiama nel comitato di redazione di marcatré. Tra gli artisti liguri presenti nella sua collezione il più noto è forse Emanuele Luzzati, avvezzo a interagire con gli scrittori. E ancora tra le sue conoscenze annovera Emilio Vedova, Pietro Cascella, Gianfranco Baruchello.
Sanguineti come critico prende parte al dibattito sugli sviluppi delle loro ricerche artistiche; come intellettuale interviene nei testi di presentazione delle loro mostre; come poeta dedica rime agli amici componendo per loro sonetti e acrostici. Gli scambi sono bidirezionali e fioriscono le collaborazioni. Baj firma le copertine di Capriccio Italiano nelle edizioni del 1963, del 1967, del 1985 e del 1987 e nel 1982 illustra Alfabeto apocalittico. A Baruchello, con cui il poeta si ingaggia in un gioco di rimandi in rebus verbo-visivi, si deve il collage, presente in mostra a Biella, inserito nella prima edizione de Il Giuoco dell’Oca che ricalca le 111 caselle della “versione letteraria” del gioco inventata da Sanguineti. Questo libro del 1967 dà prova dell’abilità di tessitore di Sanguineti che, mentre intreccia la trama delle sue storie caricandole di archetipi, simboli, figure metamorfiche, equilibrismi lessicali, inserisce nell’ordito un universo di citazioni e referenze, in larga parte artistiche. L’arte per Sanguineti è una sorta di specchio della mente, tornando così alla proposizione iniziale della sua collezione come autoritratto. Le opere e le ricerche degli artisti diventano i suoi potenziali doppi, una porta verso territori in cui testare i propri ragionamenti. Negli artisti che sceglie e che stima risuonano attrazioni simili per le componenti grottesche, barocche o antistilistiche del linguaggio, per le procedure combinatorie, di montaggi e assemblaggi o di risemantizzazione del reale.
Nella convergenza tra la capacità della scrittura e dell’arte di creare repertori figurali Sanguineti invita alla cooperazione, in particolare tra poeti e pittori:
“La condizione, probabilmente ideale, è quando parola e immagine non stanno separate, ma si incrociano, cioè quando la collaborazione diventa un dialogo con un altro artista … tale dialogo si instaura quando c’è una qualche comunanza di poetica, un’analogia di strutture, un’affinità nel repertorio immaginativo (parola quest’ultima che può coprire tanto lo spazio verbale quanto quello iconologico) e c’è scambio di procedimenti” (L. Tozzato, C. Zambianchi, Edoardo Sanguineti, Carol Rama, Torino 2002).
Il precipitato di questo dialogo si riassume nella collezione esposta a Biella, accompagnando le opere con brani di testi sanguinetiani.
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