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Enzo Sellerio narratore per immagini

Enzo Sellerio narratore per immagini

18 Marzo 2025

di Maddalena Libertini

Alle Gallerie d’Italia di Milano in mostra la Piccola antologia siciliana del fotografo-editore: tra reportage e poesia visiva, 85 scatti dell’isola realizzati dall’inizio degli anni cinquanta alla fine dei sessanta

Nel 1969 i coniugi Enzo ed Elvira Sellerio, lui di 45 anni e lei di quasi 36, presero la decisione di fondare una casa editrice coadiuvati da Leonardo Sciascia e dall’antropologo Nino Buttitta.

Nessuno dei due aveva una esperienza diretta del mestiere librario ma entrambi erano molto attivi nella vita culturale della loro città, Palermo, e della loro regione. Il sostegno di Sciascia fu fondamentale soprattutto per indirizzare la linea editoriale, ma anche in aspetti molto pratici come la stesura dei contratti per gli autori, redatti sulla falsariga di quelli del grande scrittore, e delle lettere per richiedere i diritti di opere a editori stranieri.

L’esito di quella scelta è diventato nel tempo un caso di studio, un campione della piccola editoria che è riuscito e riesce a gareggiare con i colossi piazzando con costanza successi nella classifica delle vendite, addirittura trionfi con Camilleri, e a indovinare titoli e scrittori che diventano di culto come Bufalino, Tabucchi, Bolaño e, più di recente, Hanya Yanagihara con Una vita come tante. Connotati dalla cura grafica ed estetica, i volumi della collana La memoria sono inconfondibili con il loro piccolo formato quasi quadrato, il colore blu della copertina, il riquadro con un’opera d’arte e la qualità della carta. Hanno dato casa, a partire dal commissario Montalbano, a una serie di investigatori molto amati – Pepe Carvalho, Petra Delicado, Rocco Schiavone tra gli altri – sottraendoli dalla segregazione del genere.

L’inizio di questa storia virtuosa alla fine degli anni sessanta ha segnato però la fine di un’altra carriera, non meno felice e affermata, quella di Enzo Sellerio fotografo.

Sellerio dietro l’obiettivo

Il 25 febbraio 2024 Enzo Sellerio avrebbe compiuto cento anni e l’anno scorso questa ricorrenza ha offerto l’occasione a Palermo per una serie di celebrazioni in suo onore, molte delle quali dedicate alla sua altra personalità artistica, quella del fotografo. Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo hanno avuto l’acutezza di unirsi a questo ricordo e, in una ideale coda conclusiva dell’anniversario, di portare nella loro sede di Milano un saggio della sua produzione con la mostra fotografica “Enzo Sellerio. Piccola antologia siciliana” (fino al 13 aprile), curata da Monica Maffioli e Roberta Valtorta, in collaborazione con l’Archivio Enzo Sellerio.

Sellerio, figlio di un professore ordinario di Fisica Tecnica della facoltà di Ingegneria e di una docente di lingua russa all’ateneo palermitano, si era avvicinato professionalmente al mezzo fotografico solo agli inizi degli anni cinquanta, dopo aver praticato anche lui la carriera accademica come assistente in Diritto Pubblico. Incoraggiato dall’amico artista Bruno Caruso, comincia a pubblicare sulla rivista Sicilia, per poi collaborare con altri periodici come Il Mondo, Il Borghese e Panorama. Le prime personali arrivano già nel 1956 alla galleria L’Obelisco di Roma e nel 1957 alla Bussola di Torino. È sua la campagna di foto che corredano la fondativa monografia di Ernst Kitzinger I Mosaici di Monreale. Il definitivo riconoscimento nazionale è decretato nel 1960 quando espone alla Triennale a Milano e l’anno dopo gli si schiude quello internazionale con un servizio su Palermo commissionato dalla rivista svizzera du che replica nel 1962 con un reportage sui paesi dell’Etna. È l’unico italiano invitato a far parte dell’associazione EMP, European Magazine Photographers, e lavora come free lance per Vogue, Fortune, Life, The Times. Grazie a Vogue, viaggiando tra New York e Parigi, entra in contatto con diversi protagonisti del panorama culturale degli anni sessanta, che confluiscono nella sua galleria di ritratti insieme ad attori, scrittori, intellettuali e artisti italiani. A fare da ponte con l’editoria sarà un incarico della Biblioteca Centrale Siciliana per la cura di una collana di testi siciliani insieme a Gioacchino Lanza Tomasi, figlio adottivo dell’autore del Gattopardo.

Dalla sua esperienza con la macchina fotografica nel nuovo “mestiere” trasferirà il gusto per lo stile e la composizione grafica mentre la sua sensibilità artistica confluirà nella sezione delle collane di libri d’arte corredati da apparati di immagini e nella sua passione di eclettico collezionista.

 

 

 

Antologia siciliana

Con le sue dimensioni raccolte lo spazio della Sala delle Colonne di Milano invita alla contemplazione, l’allestimento è essenziale, punteggiato da poche frasi dell’autore, i colori silenziosi, le luci ben armonizzate: è uno scrigno che condensa ben 85 foto in B/N – stampe d’epoca e alcuni inediti da negativi originali scelte tra i circa 100.000 esemplari dell’Archivio Sellerio.

Coprono l’arco temporale della sua carriera dal 1952 al 1968 (tornerà brevemente alla fotografia con un’incursione nel 2006) ma senza seguire un ordine cronologico severo. Solo il suo primo reportage Borgo di Dio, legato al progetto di denuncia e lotta non violenta di Danilo Dolci, ha una concentrazione temporale molto circoscritta: un nucleo di 8 foto scattate nel 1954 tra Trappeto e Partinico. Se è pur vero che dall’immagine del bambino malnutrito con gli arti scheletrici e il ventre gonfio in braccio alla madre o da quella di Dolci nel letto visitato durante un digiuno di protesta trapela l’intento neorealista del fotodocumentario, anche in queste due stampe come nelle altre del gruppo, e ancor di più nelle successive, non è quella la cifra stilistica che prevale. Nelle immagini di Sellerio è assente il tono del patetico, della retorica e persino il rischio dell’agiografia della miseria e degli ultimi. In alcune invece si rivela una qualità pittorica, come se l’occhio dell’autore contenesse una memoria di opere d’arte del passato che attiva il click della camera quando ne ritrova una rimembranza in ciò che osserva. Accade proprio nella scena della foto di Dolci o ne La Malata che sembra un incrocio tra il quadro Au lit di Edouard Vuillard o quello quasi con lo stesso titolo di Toulouse Lautrec o, ancora, nei Carbonai di Zafferana Etnea della serie Paesi dell’Etna che richiama Millet e Courbet. Questa impressione trova conferma in una frase dello stesso Sellerio: “I precedenti si annidano nell’inconscio, eppure, in particolari occasioni, emergono all’improvviso nella sfera della coscienza, per associazione di idee. Talvolta, mentre si fotografa una scena di vita, il ricordo di un’opera d’arte si ripropone come un tableau vivant…”. I rimandi, consapevoli o involontari, si moltiplicano. Si sente la lezione di Henri Cartier-Bresson, conosciuto attraverso Caruso e poi divenuto suo amico, e di altri fotografi umanisti soprattutto negli scatti magistrali di bambini. E forse, chissà, si intravede un ésprit surrealista alla Dora Maar in immagini come Randazzo (1963) in cui un bambino guarda perplesso un adulto intabarrato che sembra non avere una testa umana o nel gioco dello specchio in cui appare Marcel Marceau al Mercato delle Pulci di Palermo (1965). Bellissimi i giochi di linee che sfruttano il filtro della tenda della focacceria per inquadrare la facciata della chiesa di San Francesco o quelli della regolarità seriale delle tegole del tetto a Vizzini, spezzata da una finestrella da cui sbuca il mezzobusto di una donna. Le volute in ferro battuto di un balcone a Linguaglossa diventano protagoniste di una scena sfocata, mentre l’intreccio delle balaustre di una scalinata ripresa dall’alto a Leonforte disegna una geometria in cui irrompe l’imprevedibilità dell’elemento umano.

In questa rassegna c’è la Sicilia degli anni cinquanta e sessanta che ci si potrebbe attendere ma senza mai scivolare nel folklore o fare leva sul pittoresco. Ci sono le strade e le piazze di Palermo, i paesi, la campagna e i paesaggi aspri. Ci sono i rituali laici e religiosi, la processione pasquale, la festa patronale, l’Opera dei pupi; i mestieri, il venditore di bottiglie usate o quello di pomelie al Foro Italico; le attività quotidiane, l’incontro al mercato, il pranzo in trattoria; c’è la Storia collettiva, gli emigranti alla stazione, l’oste con l’asino che va a vedere la portaerei americana Indipendence attraccata al porto durante le elezioni del 1960, la modernità della televisione in casa, il terremoto del 1968 nella valle del Belice.

Le foto esposte sono come una lingua che suona familiare anche se non è, o non è più, la nostra, e questo è confortante, e anche quello che dice ricorda qualcosa sentito altrove in un altro momento, come un racconto popolare che, nelle sfumature e nei dettagli, cambia ogni volta che viene raccontato ed è sempre originale. C’è però un aspetto della Sicilia che Sellerio rivendica di aver volutamente tralasciato, come ricordano due citazioni sulle pareti della sala: quello tragico della violenza e della lupara. Gli concede di entrare solo sotto forma di un gioco di bambini che mettono in scena una fucilazione contro un muro della Kalsa e gli conferisce così l’energia allusiva di una figura allegorica.