Durante la settimana di è cultura! torna visitabile a Palermo nella sede degli uffici di Credem a palazzo Rutelli il salone Lo Bue Lemos realizzato nel 1903 dal maestro del Liberty italiano.
L’interno di Basile permette di apprezzare il repertorio stilistico che l’architetto sperimentava nei progetti coevi, dal villino Ida all’arredo dello Yacht Florio. Per informazioni sulle modalità di visita consultare l’appuntamento sul nostro sito al link.
“Quando dico una linea è una forza, affermo qualcosa di eminentemente concreto: essa trae la sua forza dall’energia di colui che l’ha tracciata. Questa forza e questa energia operano sul meccanismo dell’occhio, nel senso che gli impongono determinate direzioni; le quali si integrano a vicenda, si fondono e infine costituiscono determinate forme. Nulla in tutto ciò va perduto, né forza né energia. Una decorazione così realizzata, tratta dei reciproci effetti delle forze elementari, raggiunge la forma pura e inalterabile di una deduzione matematica e conserva forza e vitalità indistruttibili”.
Paolo Portoghesi, nel saggio che scrive per la celebre mostra dedicata all’architetto palermitano Ernesto Basile nel 1980 alla Biennale di Venezia, attribuisce queste frasi a Henri van de Velde, uno dei padri fondatori dell’Art Nouveau. Le usa per spiegare che anche Basile fu contagiato dal “demone della linea” a cavallo tra il 1897 e il 1899, diventandone il più importante interprete italiano.
Quando realizza il salone Lo Bue Lemos a palazzo Rutelli a Palermo nel 1903, quello del Liberty o del Floreale è, dunque, un vocabolario stilistico che Basile padroneggia e, ancor di più, che ha fatto suo.
A quella data ha già avviato la fortunata collaborazione con la ditta di mobili Ducrot con il quale ha partecipato all’Esposizione Internazionale di Torino nel 1902 e alla Biennale di Venezia l’anno successivo e ha ricevuto l’incarico diretto, senza concorso, per la nuova aula di Montecitorio. Superati i 45 anni è quindi un nome affermato, un progettista di valore all’apice della carriera, con una mano felice nel disegno, una solida esperienza del cantiere a cui il padre Giovanni Battista Filippo, autore del Teatro Massimo, lo aveva avviato ancor prima della laurea, e una vasta cultura architettonica che, partita dall’eclettismo, si è aggiornata alle nuove tendenze che stanno animando l’Europa: recano la firma di Horta, Guimard, van de Velde, Wagner, Olbrich, Hoffmann, Mackintosh, Gaudì.
Soffia nel continente un vento che trasporta i semi della decorazione vegetale e floreale che, quando attecchiscono, si sviluppano nei casi migliori generando ibridi autoctoni. E certamente questo vale per Basile, che accoglie il nuovo linguaggio e lo radica nella propria tradizione e nel proprio talento creativo trasformandolo in una grafia inconfondibile, un segno rigoglioso ed elegante, che diventa l’emblema della raffinatezza palermitana dell’età dei Florio.
La nostra immaginazione di questa stagione aurea della Sicilia e del suo capoluogo non può scindere i protagonisti e le loro vicende, i Florio – Ignazio Jr., Franca e Vincenzo Jr., rivitalizzati dalla recente saga letteraria –, ma anche i Whitaker o i Lanza di Trabia e le altre famiglie dell’aristocrazia e dell’alta borghesia isolane dalle residenze e dagli ambienti che Basile e i suoi allievi hanno progettato per loro.
E, quasi al contrario, i personaggi di queste storie diventano il naturale complemento umano dell’opera d’arte totale (gesamkunstwerk) che la nuova corrente architettonica voleva realizzare, progettando l’edificio, le stanze, i parati, il mobilio fino alle minuterie metalliche (e nel caso di Van de Velde o di Klimt anche gli abiti) improntandoli a un unico ideale estetico che permeava la vita degli abitanti.
La visita al salone Lo Bue Lemos al primo piano del palazzo di via Quintino Sella, oggi sede di Credem, consente di distillare la quintessenza di questa atmosfera ormai avvolta da un alone mitico e di assaporarne l’idea di bellezza che la maestria basiliana ha saputo raggiungere nel design di interni.
Nei 60 mq del salone, con l’abilità di un direttore d’orchestra, l’architetto armonizza tutti gli elementi a sua disposizione sfruttando al massimo l’abilità dei suoi collaboratori e mettendo pari attenzione alla composizione generale e ai più piccoli dettagli, come le maniglie e persino la toppa e la chiave della credenza. Tutto risponde al medesimo accordo musicale. Il pavimento con le ceramiche della manifattura Florio, gli arredi fissi realizzati da Ducrot e la decorazione del soffitto di Salvatore Gregorietti contribuiscono all’organismo unitario concepito dall’inventiva del genio di Basile e sottoposto interamente al suo controllo.
Le linee sinuose di matrice franco-belga sono qui moderate dalla linearità dell’intreccio di orizzontali e verticali della boiserie, del mobilio e delle porte. I montanti riprendono la metafora vegetale e tornano a sbocciare sui loro terminali fitomorfi illuminati dall’oro. Anche il soffitto di Gregorietti, probabilmente su disegno dello stesso Basile, combina l’esuberanza floreale con la griglia del graticcio.
Allo stato attuale, come indica Danilo Maniscalco nel volume “Ernesto Basile. Atlante delle opere palermitane (1878-1932)” sponsorizzato da Credem, mancano a completare l’esperienza integrale i parati originali, la parte degli arredi mobili e un tappeto realizzato dalla ditta viennese Haas. Tuttavia, parafrasando van de Velde, il salone conserva inalterate la forza e la vitalità dell’energia di colui che l’ha creato.