L’arte fuori misura e fuori schema di Concetto Pozzati

L’arte fuori misura e fuori schema di Concetto Pozzati

20 Novembre 2023

A Bologna la retrospettiva con le opere di grande formato che l’artista, scomparso sei anni fa, avrebbe voluto realizzare e aveva iniziato a progettare. Le bellissime sale di Palazzo Fava, affrescate alla fine del Cinquecento, ospitano anche alcuni inediti e lavori che tornano a essere esposti dopo molti anni.

La pittura come inventario, così come la qualificava Pozzati, viene subito incontro al visitatore fin dalla prima sala della mostra “Concetto Pozzati XXL” (27 ottobre 2023-11 febbraio 2024), presentata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae a Palazzo Fava. Un inventario di oggetti, ricordi, simboli, riferimenti che prende la forma di quattro grandi dittici che, grazie alle loro misure, riescono a controbilanciare la maestosità del Salone con le storie di Giasone e Medea di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci. Nelle tele dipinte da Pozzati tra il 2006 e il 2010 ci sono ingigantite le cose che gli ricordavano sua moglie (“Ciao Roberta”), gli oggetti del suo quotidiano (“A casa mia”), orologi di varie forme e colori (“Tempo sospeso”) e la cornice (“Cornice cieca”) che, dipinta, si prende lo spazio del quadro. Si continua nella sala successiva, in un formato più contenuto, con due cicli inediti, i telefoni (“Occupato”, 2012) e le chiavi (“Sottochiave”, 2014).

L’inventario è di per sé un tentativo di mettere ordine, di dare senso, uno strumento di conoscenza del mondo e di sé stessi. L’atto di catalogare è un fondamento della cultura occidentale e l’uomo lo pratica sin dall’inizio dei tempi, dalla Bibbia, da Omero e Esiodo, fino codificarlo nell’Enciclopedia: nei dipinti di Pozzati è senza parole ma costruisce un vocabolario personale di immagini che finiscono per diventare i frammenti di un autoritratto.

Le parole Pozzati le adopera altrove e nella mostra di Bologna compaiono diversi stralci dei suoi scritti. Concetto Pozzati (1935-2017) non è stato solo artista, ma teorico, critico, curatore, docente, accademico e anche assessore di Bologna dal 1993 al 1996.

Dice, per esempio, di essere “per l’incomunicabilità e lo scollegamento” a proposito del ciclo “Occupato”, in cui ammassa telefoni ormai obsoleti, incapaci di trasmettere voci. Eppure, quando dispone sulla tela i guanti, il cappello, la borsa della moglie mancata prendendone commiato, oppure quando allestisce come in una vetrina da museo il suo pennello da barba, il barattolo del caffè, le pantofole, apre con le chiavi di “Sottochiave” la sua sfera intima e privata e consente l’intromissione dello spettatore, generando un flusso di empatia.

Le parole compaiono, poi, anche nella produzione degli anni settanta rappresentata da cinque grandi opere a tecnica mista (collage e acrilico) nella Sala di Enea: qui la scrittura corsiva si accompagna sulla tela a tecniche sperimentali come l’aerografo e all’applicazione di oggetti tridimensionali.

L’itinerario espositivo non si interessa della cronologia e privilegia il dialogo con gli ambienti del palazzo: nella Sala Albani gioca di rimando tra gli specchi antichi della stanza e quelli di alcune delle sue opere più note della fine degli anni sessanta. Da qui si passa nella Sala Cesi con il ciclo “A che punto siamo con i fiori?”, della fine degli anni ’80, per approdare nell’ultima sala del piano nobile, la Sala Carracci. Mentre gli affreschi del fregio raccontano il suicidio di Didone, i quadri celebrano un femminile intriso di eros, mettendo insieme l’opera più vecchia presente in mostra, “J. ovvero la sottomissione” (1964) con l’ultima serie “Vulvare” (2016).

La prassi sistematica riprende il sopravvento al piano superiore dove viene riproposta l’istallazione “Dopo il tutto” del 1980: l’accumulo creativo di 300 disegni a tecnica mista viene meticolosamente organizzato sulla parete secondo un principio ordinatore misterioso. In questo modo ci si trova davanti a una sorta di libro simultaneo di immagini dispiegato.

Relegata in una stanza di passaggio, la serie de “Le buste” degli anni settanta non perde però di fascino: le buste da lettera diventano materiale pittorico sfruttandone il colore, la forma e la serialità e, nel gioco di aperto/chiuso, pieno/vuoto, mantengono il loro potere allegorico legato al tempo, alla relazione affettiva, alla memoria. Nell’ultima sala trenta lavori su carta dal 1959 al 2016 consentono di ripassare in rassegna i temi affrontati dall’artista e di ritrovare in dimensioni ridotte i cicli visti in mostra. La conclusione è affidata al documentario di Stefano Massari realizzato nello studio dell’artista poco prima della sua scomparsa.

Il “fuori misura” di Concetto Pozzati è stato trasformato nel titolo dalla figlia Maura, curatrice della mostra e direttrice dell’Archivio dell’artista, insieme al fratello Jacopo in un’allusione a un “concetto extra extra large”. Ovvero un mondo delle idee vasto, in grado di ospitare una creatività che non ha avuto paura di rinnovarsi e di esplorare, di appropriarsi di rimandi colti e citazioni pop ed elaborarli in nuovi concetti. Nel titolo “Concetto Pozzati XXL” le parole tornano così, con le sfumature del calembour, ad associare le opere al pensiero che l’artista ha su di esse e, più in generale, sull’arte.

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