L’incanto della conoscenza di un altro Ulisse

L’incanto della conoscenza di un altro Ulisse

15 Aprile 2024

di Maddalena Libertini

Al Museo Civico di Zoologia di Roma una mostra per tutte le età che annulla le distinzioni tra arte e scienza, tempi e spazi, tecnologia e poesia della natura.

 

Alla figura di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1522-1603) sono legati la nascita del Museo di Storia Naturale e dell’Orto botanico e alcuni dei principi fondamentali per lo sviluppo delle scienze moderne, seminali per le rivoluzionarie scoperte di Galileo nel secolo XVII: osservazione, classificazione, catalogazione. Botanico, studioso onnivoro, docente di filosofia naturale, appassionato collezionista, fu un esempio paradigmatico di uomo del Rinascimento, un temperamento curioso, bramoso di conoscenza e desideroso di divulgarla, che seppe intessere il recupero del passato con una visione intensa del moderno, radicata nel suo tempo ma proiettata verso il futuro. Tra gabinetto delle meraviglie e prototipo embrionale del museo naturalistico, la sua casa si riempì di reperti minerali, piante essiccate, animali imbalsamati, fossili, oggetti rari e preziosi, un’imponente raccolta di oltre 18mila pezzi, da lui accuratamente repertoriati e conservati. Soprattutto Aldrovandi fu il primo a intuire l’importanza delle illustrazioni per il suo progetto di colossale enciclopedia naturalistica: fino ad allora l’editoria scientifica era solo testuale e le immagini erano riservate ad altri generi di libri, mitografici, allegorici, sacri. Egli, invece, decise di inserire insieme al il testo un apparato di figure, collaborando a tal fine con artisti tra i migliori disegnatori e incisori della sua epoca.

Immagine, immaginario e immaginazione: nei territori di intersezione tra il sapere rigoroso e razionale e le libere proiezioni della mente, il primo tradotto in scienza e tecnologia, le seconde attivate dalla fantasia e dall’arte, si posiziona la mostra “Oltre lo spazio, oltre il tempo. Il sogno di Ulisse Aldrovandi” (22 marzo-21 luglio 2024) al Museo Civico di Zoologia, situato nella via intitolata a Roma proprio allo studioso del Cinquecento. Arte e scienza sono i due serbatoi che alimentano il repertorio visuale di ogni periodo storico e che si influenzano vicendevolmente. Per questo la mostra allestisce una sorta di wunderkammer ispirata ad Aldovrandi e aggiornata al contemporaneo, in cui convivono senza soluzione di continuità mirabilia dei musei scientifici dell’Università di Bologna e della collezione zoologica romana, dipinti dal XVI al XX secolo, opere contemporanee di Nicola Samorì, istallazioni multimediali e di realtà aumentata e strumenti, oggetti e video dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Agenzia Spaziale Europea. Se infatti l’arte ha integrato i progressi della tecnica (solo per fare un esempio, il video nel secolo scorso), è stata talvolta la sua potenza immaginifica (intesa anche come letteraria) a prefigurare conquiste scientifiche successive. Inoltre fantasia e creatività spingono a uscire dai binari delle conoscenze consolidate e far avanzare progresso e innovazione. Non a caso invenzione e attrazione per l’ignoto appartengono sia all’arte sia alla scienza. La mostra propone quindi ai visitatori di fare esperienza di una visione unitaria della cultura, non frammentata in comparti, e impostata su una alleanza tra realtà scientifica e artificio artistico, e di reagire ai pezzi esposti creando il proprio sistema di suggestioni e riferimenti, secondo le sensibilità e le inclinazioni individuali. A dimostrare che si può unire capacità fantastica e discipline di studio e ricerca torna ancora Aldrovandi che, sebbene protoscienziato, era ancora intriso delle credenze della sua epoca e produsse anche la Monstrorum Historia, un trattato su mostri, magia e prodigi soprannaturali.

Il progetto espositivo romano ripropone con modifiche e aggiunte quello realizzato dalla Fondazione Golinelli e dal Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Bologna, con il supporto di Banca di Bologna, proposto nel 2023 nel capoluogo emiliano e scandito attraverso quattro faglie di discontinuità, quattro salti evolutivi che hanno connotato la presenza dell’umanità nella Storia, dalla genesi ai viaggi interstellari. Nell’intento del progetto originario c’era anche la volontà di affidare all’arte il compito di rigenerare e riaccendere il potenziale narrativo di reperti provenienti dalle raccolte di musei scientifici, che spesso hanno perso valore semantico rispetto al presente. Compito assolto con eleganza dalle opere dell’artista contemporaneo Nicola Samorì: i suoi dipinti di nature a olio su pietra si confondono con le tavole dell’erbario aldrovandiano; le sculture antropomorfe sembrano provenire dall’antichità o essere state prodotte da stratificazioni di concrezioni; Guglia in marmo bianco di Carrara, ispirata a una forma organica, si intrattiene con la Pterocera, conchiglia pietrificata, e con il corallo Platygyra lamellina e contiene un frammento lunare; Solare in marmo nero del Belgio si accorda con il pezzo di meteorite ferrosa caduta nel 1890 in New Mexico. Le essenze olfattive create da Laura Favaretto riproducono gli odori dello Spazio come raccontati dagli astronauti. Il risultato di questi connubi inediti è che la “sindone entomologica” di farfalle, ovvero una vecchia teca da cui sono stati da cui sono stati rimossi i lepidotteri lasciando solo le impronte in negativo causate dalla lunga esposizione alla luce, si trasforma in un oggetto a reazione poetica, caricandosi di simboli e metafore.

 

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