Nello storico negozio Bubani, oggi sede del private banking della Cassa di Ravenna, si svolge a ritmo serrato la programmazione di mostre dedicate all’entusiasmante mondo delle collezioni private del territorio romagnolo.In arrivo le esposizioni di utensili agricoli antichi, di figurine Panini, della storia della Confcommercio locale e dell’associazione cicloecologista FIAB Ravenna.
“Barbie” è stato il film evento del 2023, diventando rapidamente un blockbuster internazionale. Un fenomeno virale, alimentato da meme e collaborazioni con i brand più disparati, che ha generato uno stile estetico, il Barbiecore, e soprattutto ha riportato in auge l’iconica omonima bambola.
Ma c’è chi la passione per Barbie l’ha coltivata per anni tra le mura domestiche costruendo una vera e propria collezione: è la giornalista ravennate Paola Amadesi e già nel 2017, in anticipo sui tempi, alcuni esemplari delle sue bambole Barbie sono stati in mostra nelle vetrine del centralissimo ex-negozio Bubani a Ravenna. E sempre in queste stesse vetrine è stato possibile ammirare un saggio della più grande raccolta italiana di sabbie, una delle prime dieci al mondo; di una collezione ravennate di pistole ad acqua; di salvadanai; di giocattoli in metallo; di campanelli elettrici; di calzature d’epoca; di orologi pubblicitari; di schiaccianoci a forma di soldatino; di scatole da sigari; di macchine da scrivere…
Queste sono solo alcune delle piccole e grandi meraviglie che, come in una wunderkammer a rotazione continua, si sono avvicendate sotto i portici di piazza del Popolo presso la sede del private banking della Cassa di Ravenna, da quando, all’inizio del Duemila, la dirigenza dell’istituto ha deciso di trasformare le due vetrine su strada in una piccola galleria espositiva sempre aperta, giorno e notte.
Il negozio Bubani era uno dei luoghi più rinomati del commercio cittadino, adibito alla vendita di cappelli e “vestimenta” all’inglese. Aperto già nel 1888 come cappelleria Foschini, nel 1904 divenne la ditta Carlo Bubani e nel 1924 inaugurò la raffinata facciata in legno visibile ancora oggi. Per decenni è stato una meta dell’eleganza di tutta la Romagna.
Persa la destinazione d’uso originale, è stato acquisito dalla Cassa, che lo ha adibito a sede del “Borsino”. Poi, nel 2004, tutto è partito, in prossimità del Natale, con un presepe allestito grazie all’aiuto di un cliente che collezionava statuine settecentesche, avviando una consuetudine che si ripete di anno in anno.
Da qui l’intuizione: perché non destinare le due vetrine che affacciano sul principale salotto urbano a raccontare l’estro collezionistico e gli hobby dei clienti e della comunità? E allora via gli schermi con le quotazioni della borsa per fare spazio a più di 330 esposizioni che, con cadenza quindicinale, si sono susseguite qui e hanno dato modo di condividere passioni private, rivelatrici di conoscenze e memorie, di saperi e abilità.
Con questa stessa visione sono stati ulteriormente valorizzati anche gli arredi interni originali, i soffitti intarsiati, i banconi, le lampade, le armadiature vetrate e il vecchio registratore cassa, che insieme alla struttura lignea esterna compongono un piccolo scrigno, una “boutique finanziaria” a vocazione culturale.
E, oltre alle collezioni e agli artisti locali, diversi sono stati gli omaggi ad associazioni, personaggi o attività che costituiscono l’identità del territorio: Ravenna Festival e Ravenna Jazz; il corpo dei Pompieri nato nel 1855; il Gruppo Ravennate Archeologico; l’asso dell’aviazione Francesco Baracca; la squadra di football dei Chiefs Ravenna e quella di pallavolo; le manifatture ceramiche; il grande sceneggiatore romagnolo Tonino Guerra, solo per citarne alcuni.
Una programmazione che continua senza sosta e che proseguirà nelle prossime settimane grazie all’impegno di Giorgio Sarti, vice presidente vicario de La Cassa di Ravenna, e del collezionista Lino Venturi.
Nel libro “Inventario delle cose perdute”, Judith Schalansky ci ricorda che l’epopea dell’umanità è piena di cose che sono andate perse, distrutte o semplicemente dimenticate e che “in fin dei conti, tutto ciò che ancora esiste è semplicemente ciò che è rimasto”. Quello che resta sono dunque frammenti e, se come sostiene l’autrice, “una memoria che tutto conserva in fondo non conserva nulla”, forse chi con tenacia e passione si dedica a conservare oggetti particolari, specializzati, costruendo raccolte che possono sembrare talvolta anche curiose e stravaganti, diventa il depositario di una traccia superstite, essenziale per ricomporre la storia collettiva.